Recovery Fund in salsa lombarda

A fine novembre 2020, il consiglio regionale lombardo ha emanato una risoluzione – la 40/2020 – avente come oggetto la “Risoluzione concernente il Recovery Fund: proposte per la definizione del piano nazionale di ripresa e resilienza PNRR” e ovviamente riguardante gli investimenti della quota spettante alla regione del Recovery Fund europeo, pari a 35 miliardi di Euro.

Scorrendo i capitoli di spesa, salta subito all’occhio come al potenziamento della sanità sono state riservate le briciole, così come al potenziamento del trasporto pubblico locale, ovverosia i due principali punti di criticità rilevati durante la pandemia, rimarranno con il cerino in mano ancora una volta. Nella risoluzione la salute occupa l’ultimo posto del documento e, dietro a dichiarazioni di rafforzamento di un servizio sanitario universalistico, si parla principalmente di interventi sulla digitalizzazione e sul miglioramento tecnologico, mentre non vengono nemmeno menzionati i necessari rafforzamenti della medicina territoriale, del piano USCA per la continuità assistenziale, né tantomeno di un potenziamento del personale, che soprattutto in quest’ultimo anno è stato sottoposto ad una mole di lavoro inaccettabile, sebbene imprevista. Si parla di riforme indispensabili al buon funzionamento del SSR, ma intanto rimane vergognosamente in vigore la legge regionale voluta da Maroni che di fatto equipara la sanità pubblica e quella privata, dirottando la maggior parte dei fondi disponibili verso la sanità privata equiparata.

Voci recenti danno per certi investimenti voluti dal ministero dell’economia e che vedrebbero destinati alla sanità nazionale 18 miliardi di euro per opere di ammodernamento dei servizi ed edilizia sanitaria. Ovviamente, essendo la sanità materia appannaggio delle regioni, in Lombardia rimarrebbe in vigore la legge regionale di cui sopra, che drenerebbe gran parte degli investimenti verso strutture private; mentre siamo pronti a scommettere che non vi saranno opere di ristrutturazione e di recupero per ciò che concerne l’edilizia sanitaria, ma la creazione di nuovi poli ospedalieri ai quali poi mancherebbero i presidi di medici ed infermieri, come già ampiamente dimostrato dal progetto dell’ospedale allestito da Fontana, Gallera e Bertolaso nei padiglioni ex Expo.

Per ciò che concerne il trasporto, vengono privilegiate come sempre le grandi opere stradali e ferroviarie, soprattutto quelle inerenti le tratte che interesseranno le olimpiadi invernali del 2026, vero e proprio eventificio che già sta devastando il paesaggio montano e che da qui ai prossimi cinque anni dirotterà una quantità enorme di denaro pubblico. Molto spazio verrà dato anche per potenziare i servizi ferroviari per collegare i nuovi luoghi della gentrificazione e i mega centri commerciali (leggasi Rho ed Arese), mentre il trasporto locale che muove la maggior parte degli studenti e dei pendolari è rimasto nuovamente con il cerino in mano e, a livello metropolitano, i fondi verranno usati soprattutto per il completamento della linea 4 della metropolitana. Niente andrà a potenziare i mezzi di superficie, né i collegamenti interregionali, da sempre veri e propri carri bestiame negli orari di punta. Invece di queste azioni, viene ipotizzata una nebulosa “domanda pubblica intelligente”, il cui fine ultimo è una nobile gratuità dei mezzi pubblici per neutralizzare le disparità sociali, ma i cui mezzi per arrivarci non è dato conoscere.

Il documento poi ha una parte corposa dedicata alla Green Economy, pomposamente intitolata “Rivoluzione verde e transizione ecologica”, entro la quale si evince che la transizione ecologica è considerata quasi esclusivamente dal lato economico e profittevole e quasi mai da quello di tutela e salvaguardia del bene comune e della salute pubblica. Basti pensare che la parte del gigante la farà l’economia circolare, ovverosia la volontà di chiudere virtuosamente il ciclo dei rifiuti e della fertilizzazione del suolo tramite digestato naturale (scarto della produzione del biogas), che di fatto porterà ad una sorta di oligopolio di grosse società che gestiranno tutte le varie fasi dei cicli di lavorazione, ottimizzando le spese e danneggiando la già scarsa biodiversità dell’ecosistema lombardo.

Vi sono poi molte contraddizioni evidenti, come la creazione di piste ciclabili e la disincentivazione del traffico veicolare privato che cozzano con lo sblocco dei cantieri previsto dal piano Lombardia del maggio 2020 e a causa del quale molti sindaci e diverse consorterie sono già andate in regione a battere cassa per poter cementificare e far ripartire l’economia locale tramite l’edilizia (si veda come esempio la costruzione dell’autostrada Cremona-Mantova, che diverrà l’ennesima cattedrale nel deserto); o ancora, la volontà di creare dei veri e propri boschi urbani quando solo pochissimi anni fa palazzo Lombardia (sede della regione) è stato costruito radendo al suolo il bosco di Gioia ; oppure il bosco denominato “La Goccia”, nel nord di Milano, già al centro delle mire di società immobiliari che già stanno gestendo la gentrificazione degli ex scali ferroviari milanesi, con il beneplacito dell’amministrazione Sala.

Detto anche di una larghissima fetta di denaro che andrà investita in innovazione digitale e quindi reti 5G regionali e completa digitalizzazione della P.A. per snellire la burocrazia (promessa questa che torna ad ogni tornata elettorale o ad ogni elargizione di denaro da parte dell’Europa), rimane da dire della scuola, anch’essa interessata dalla “rivoluzione digitale” e che vedrebbe portate avanti delle questioni già ampiamente trattate dalla riforma Gelmini in avanti, ovverosia una domanda didattica al passo coi tempi e che vede materie riguardanti innovazione e digitalizzazione a prendere spazi dedicati a studi più umanistici e formativi e il proseguimento della partnership tra scuola e aziende, arrivando a paventare anche “l’insediamento di uffici di lavoro presso i plessi e i comprensori scolastici” (paragrafo 1.4.2) il che segnerebbe la fine della funzione storica della scuola come di un istituto atto a formare la persona adulta, divenendo solo uno strumento di reclutamento di personale da parte delle aziende, che potranno disporre di lavoratori a costo zero e sostituibili anno dopo anno.

Perfino le politiche di pari opportunità vengono svilite e ridotte a mera questione economica; ad esempio l’inclusione sempre più ampia delle donne nel mondo del lavoro ( o meglio, dell’imprenditoria femminile) contribuirebbe in maniera determinante alla crescita economica (paragrafo 1.5.1) e oltretutto ammanterebbe il mondo imprenditoriale di una patina progressista che in realtà è una foglia di fico che copre uno sfruttamento del plusvalore sempre maggiore.

Come si vede la risoluzione è ammantata di buoni propositi, ma alla fine è un mero sdoganamento del neoliberismo più sfrenato e dello sfruttamento delle risorse umane e ambientali. Sarebbe però ingeneroso intestare tutto ciò solo alla Lega. Anzi, la delibera è passata con 69 voti favorevoli su 69 consiglieri presenti in aula ed è anzi il PD ad intestarsi la vittoria, dapprima essendosi battuto per il recovery fund e poi per avere appoggiato appieno tutte le richieste arrivate dall’Unione Europea in sede di erogazione del maxi prestito.

Giova infatti ricordare che da un po’ di tempo l’UE è vista come una forza progressista che si oppone ai vari populismi nazionalisti e a volte anche alla grosse multinazionali statunitensi e asiatiche, ma rimane invece uno strumento della borghesia estremamente funzionale al capitalismo. Se a volte può sembrare che sviluppi forme economiche vicine al welfare, in realtà non lo fa per principi di equità e di giustizia sociale, ma per cercare di garantire una politica dei consumi estremamente importante per il grande capitale finanziario. Basti pensare appunto che il recovery fund è stato voluto per ovviare ai danni che la pandemia sta causando, ma i suggerimenti sui capitoli di spesa che l’Unione stessa ha fornito riguardano solo uno sblocco economico, senza nessuna ricaduta sulle questioni sociali e sanitarie.

Ancora una volta quindi il “modello lombardo” è lo specchio fedele del volere del capitale, facilmente esportabile in ogni altro territorio e subdolamente ammantato di ecologismo, mutualismo e femminismo per renderlo più facilmente difendibile. Ovviamente i movimenti si sono già espressi e non si faranno certamente raggirare da questa patina progressista, ma il grande magma di persone che, lontane dalla militanza, auspicano però un mondo con eguali diritti per tutti, potrebbero farsi traviare da questa narrazione tossica che in ultima analisi non mette in discussioni le radici delle disuguaglianze civili ed in più colpisce forte i diritti sociali. E’ in questo magma che bisognerà muoversi per disvelare la vera natura degli interventi economici come il recovery fund e le politiche locali e nazionali che andranno a decidere come e quando bisogna spendere questi soldi.

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Evento online: gli anarchici e l’occupazione delle fabbriche del 1920

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Gli anarchici e l’occupazione delle fabbriche del 1920 .
Incontro con Adriana Dadà e Gino Caraffi

Nella primavera/estate del 1920 si combatte in molte parti d’Italia una delle tante fasi della lotta di classe, all’interno di quello che viene definito il biennio rosso. L’elemento più conosciuto di questo ciclo di lotte è l’occupazione delle fabbriche con epicentro a Torino.
Nel racconto di politici, storici e militanti comunisti la centralità di Torino è determinata dalla presenza di Antonio Gramsci e della rivista “Ordine Nuovo”.
Studiando i materiali documentari dell’epoca si scopre invece il ruolo fondamentale degli anarchici in quel periodo, in quella città e molte altre aree del paese.
Non sarà un caso se il segretario delle Fiom di Torino è Pietro Ferrero, notoriamente comunista anarchico, che opera, insieme a molti militanti delle organizzazioni anarchiche nella Camera del Lavoro e all’interno dell’Unione Anarchica d’Italia. Fu barbaramente trucidato dai fascisti nell’attacco alla Camera del lavoro, ma il suo busto rimase nella sede della CDL fino alla ristrutturazione di una ventina di anno fa.
Rileggendo la rivista “Ordine Nuovo” si scoprirà che uno dei più ferrati teorici dei Consigli è Pietro Mosso, già allora autore di un’analisi sul taylorismo, anche lui riconosciuto e attivo come anarchico.
Il tutto può essere meglio compreso se si considera che prima della grande lotta dell’agosto/settembre gli anarchici si erano riuniti a congresso a Bologna, dall’1 al 4 agosto, e fra i documenti più importanti che discussero (in un lungo odg che dimostra la loro capacità di analisi strategica) c’è proprio la relazione di Maurizio Garino, anche lui attivo a Torino, su “I consigli di fabbrica e di azienda”.
Ancor più ora nel 2021, anno nel quale ci saranno celebrazioni del centenario della nascita del Partito Comunista, è utile ampliare le conoscenza sulla complessità di quel momento e sul ruolo centrale dei comunisti anarchici.

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Solidarietà ai condannati per i fatti del 24 gennaio 2015

Alternativa Libertaria/FdCA – federazione provinciale cremonese, esprime la propria totale solidarietà ai tre compagni condannati dalla Corte d’appello di Brescia a seguito di quanto avvenuto nel corso della manifestazione svoltasi a Cremona il 24 gennaio 2015.
Le imputazioni di “devastazione” e “saccheggio” e la conseguente condanna induriscono e peggiorano sensibilmente quanto contenuto nella sentenza di primo grado; e in un caso, addirittura lo ribaltano, come si verifica per un compagno precedentemente assolto dai reati ascrittigli.
Un’altra volta constatiamo come certa parte di Magistratura non esiti nel far ricorso a metodi, criteri e strumenti tipici di quel famigerato Codice Rocco, di genuina memoria fascista, per tentare di “normalizzare, razionalizzare” e, saremmo tentati di dire, “mettere la mordacchia” al dissenso, sociale e politico, ogni qualvolta esso si manifesti.
Un’altra volta registriamo come certa stampa si compiaccia di tali sentenze, adducendo elevati e “solidi” argomenti quali il decoro urbano.
Una volta di più prendiamo atto della postura di qualche “anima bella” di settori che proditoriamente seguitano a dirsi antifascisti, nel mentre equiparano la violenza di chi aggredisce a quella di chi viene aggredito.
Una narrazione, questa, capace di rimuovere i motivi di fondo per i quali si è dato vita a quella manifestazione, così riassumibili: una squadraccia fascista di aderenti a CasaPound decide di assaltare lo spazio ed i militanti del Centro Sociale Dordoni, riducendo in fin di vita il compagno Emilio Visigalli.
Ed allora noi, oggi, come sempre, ribadiamo fermamente la nostra incondizionata solidarietà ai compagni colpiti dalla repressione, riaffermiamo valore e forza dell’antifascismo politico e militante, ed il nostro restare sempre al fianco di chi lotta per un mondo più libero e giusto.

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Videoconferenza – Il capitalismo della sorveglianza

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Presentazione riassuntiva del volume di di Shoshana Zuboff (2019) e di altri materiali (The social dilemma, docufilm, materiali tradotti in Italia, bibliografia)
a cura di Alternativa Libertaria- Fano.
Ora più che mai sono evidenti i risultati politici e culturali dei meccanismi di “trascinamento ed amplificazione” di contenuti disinformanti nel web e nei social operati dalle grandi aziende del settore, dallo scopo di aumentare la redditività degli inserzionisti ed la dipendenza dalle loro piattaforme si sono sviluppate capacità condizionanti mostruose . Molti dei “disertori” di questo sistema parlano di dissenso, resistenza, riscrittura delle regole del grande mercato del web. Il pensiero anarchico e libertario è centrale nella critica si sistemi di controllo e nel seguire consapevolmente la grande trattativa in corso tra poteri istituzionali e questo potere strumentalizzante. E tutti coloro che stanno cercando da decenni di implementare sistemi di condivisione orizzontale del sapere sul web sono, in varia misura, consapevoli della necessità di darsi regole nuove, antiautoritarie, e della difficoltà di farlo su vasta scala sia nel mondo reale nel quale i sistemi democratici cedono il passo al capitalismo della produzione globalizzata che nel mondo virtuale che prende il controllo di ciò che facciamo ogni secondo della nostra vita con questo nuovo tipo di Capitalismo.
scaletta
– Casa o esilio nel futuro digitale
– Le basi del capitalismo di sorveglianza: la scoperta del “surplus comportamentale”
– Il concetto di “peccato di rapina” nel nuovo colonialismo digitale
– il ruolo dell’11 settembre nel lancio di nuove regole contro il diritto alla privacy
– La divisione dell’apprendimento nella società: “algoritmi”e nuovi sacerdoti
– il concetto di “renderizzazione” del reale e dei nostri corpi; internet delle cose, l’uso del potere della certezza.
– i sistemi democratici di fronte alla globalizzazione ed al digitale: chi rappresenta chi?
– “dove va uno, andiamo tutti” (Q), i movimenti complottisti ed il ‘brucia-cervello’ da complessità
– l’identità singola nell’era di Facebook: intersezionalità e frantumazione dell’Io
– rapporto Stato-imprese private(caso cinese, caso italiano), uso delle App (il caso Disconnect inc.), uso dei dati biometrici, cittadini e video-mappatura .
– esempi di resistenza alla strumentalizzazione digitale.
materiali a cura di Francesca ‘Dada’ Knorr.

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Un otto marzo senza piazze ma non senza lotta

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Ancora un 8 marzo di sciopero globale femminista che, se non vedrà le piazze riempirsi a causa dell’emergenza sanitaria, non per questo sarà silenzioso e inosservato.

Se lo sciopero delle donne sarebbe rimasto anche quest’anno comunque limitato nella copertura sindacale a pochi sindacati di base, comunque benemeriti, è ormai ripartita la lunga lotta delle donne per rivendicare e allargare diritti, autonomia e giustizia per tutte.

La consapevolezza dell’aggressività, mai sopita, qualche volta più subdola, del patriarcato è condivisa: siamo ancora immersi in una società patriarcale che vede le donne continuamente penalizzate nei luoghi di lavoro come nella vita familiare e in ogni ambito della vita sociale. Dove i femminicidi in aumento servono a vendere copie di giornale e narrazioni tossiche, e sono ostacolati tutti i tentativi di promuovere politiche di genere, che sarebbero necessari dalla scuola materna all’ospizio, sono colpiti e sfrattati tutti i luoghi di autorganizzazione o anche solo di tutela delle donne, sono rese invisibili e senza diritti le donne migranti.

Come se non bastasse l’emergenza COVID 19 si inserisce su una situazione di crisi economica e di impoverimento dei ceti mediobassi, crisi che vedrà, come sempre, le donne pagare il prezzo più alto. Donne che hanno perso il salario, costrette a casa ad accudire i bambini e/o gli anziani quali soggetti più fragili sottoposti al rischio del contagio, donne che come sempre sono titolari del dovere di cura, dovere che non dà alibi a chi non appartiene al genere maschile. Secoli di politiche scioviniste e sessiste ce lo impongono.

Ma la costruzione delle lotte, anche grazie al livello internazionale, sta facendo crescere la consapevolezza, la forza e la determinazione.

La lotta antipatriarcale contro un modello di dominio che usa genere, classe, razza, viene via via assunta da parti importanti di movimento e di opposizione. Si sta passando da una semplice enunciazione di principio alla costruzione, sempre difficile, di percorsi di trasformazione che da personali diventano politici, che promuovano modelli maschili in grado di contrastare dal di dentro secoli di mascolinità egemone e tossica con rapporti paritari di collaborazione, diserzione da ruoli stereotipati e una buona dose di ironia.

Il 9 marzo, e tutto l’anno, continueremo a contrastare la violenza patriarcale e la disparità di genere, unite in una sorellanza che è ancora più urgente respirare, sentire, palpare, perché laddove altri si girano altrove, noi dobbiamo esserci, strette in un abbraccio di solidarietà, forti del non essere sole, mani nelle mani, occhi negli occhi e cuori che battono all’unisono.

Solo così potremo vincere , quale che sia il giorno ancora non lo sappiamo ma sappiamo che è importante per noi, per le nostre figlie, per le donne di ogni terra nel globo, per coloro che nemmeno troppo distante subiscono violenze inaudite, lapidazioni, infabulazioni, stupri come arma di guerra, umiliazioni, abusi….

Continueremo a chiedere finanziamenti maggiori per i centri antiviolenza e le case delle donne, una sanità pubblica senza obiettori, tutela e permessi di soggiorno per le nostre sorelle immigrate e i loro figli, cittadinanza immediata per i loro bambini nati in italia, un welfare che sia davvero inclusivo, parità di salario, politiche di conciliazione che non siano solo il sancire il dovere di cura ma promuovano una condivisione di carichi. Nessuna donna dovra’ mai piu’ essere sfruttata, penalizzata e uccisa: faremo rete attorno a noi, faremo muro per respingere chi ci vuole sottomesse e mute.

Perché la libertà delle donne è il miglior antidoto al fascismo e al razzismo, e attraverso la libertà delle donne passa necessariamente la costruzione del mondo nuovo che vogliamo e che è sempre più necessario.

Alternativa libertaria/fdca  
8 marzo 2020

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In memoria di Francisco Ferrer

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Il 13 ottobre nel 110° anniversario della fucilazione di Francisco Ferrer y Guardia, avvenuta il 13 ottobre del 1909 in Spagna, la fed. cremonese di Alternativa Libertaria/Fdca ha fatto un presidio a Casalmaggiore. La fucilazione di F.Ferrer ebbe un’eco fortissima in tutta Europa e anche in provincia di Cremona ci furono manifestazioni di sdegno. L’allora amministrazione comunale di Casalmaggiore pensò di dedicare una via al famoso pedagogista libertario che il regime fascista pensò bene, qualche anno dopo, di cambiare in via Cristoforo Colombo. L’iniziativa è servita a raccogliere le firme per il ripristino della vecchia dedica a via F. Ferrer e presentare, attraverso un comitato locale creato per l’occasione, una richiesta formale al comune di Casalmaggiore. Buona è stata la presenza al presidio dei compagni e alcuni cittadini, anche qualche consigliere di minoranza, sono venuti a firmare, l’amministrazione comunale è di centro destra. Il compagno Maurizio Gritta è intervenuto ricordando la figura di F.Ferrer, il suo metodo educativo libertario e la scuola moderna; presente anche un compagno dell’archivio FAI di Imola. L’unica nota dolente l’arrivo dei carabinieri dopo pochi minuti, hanno chiesto i documenti a tutti i presenti, nonostante la richiesta di autorizzazione sia stata fatta 2 mesi fa. La raccolta firme continua e decideremo poi altre iniziative.

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Presentazione del libro “Che non ci sono poteri buoni”

Il 14 settembre alle ore 18:30 presso il circolo Arci Persichello, si terrà la presentazione del libro “Che non ci sono poteri buoni. Il pensiero anche anarchico di Fabrizio de Andrè” di Paolo Finzi.
A seguire cena ligure momento musicale con i brani del grande cantautore genovese riproposti da Alessandro Cerea.

Organizzano Arci Persichello e AL/FdCA federazione cremonese

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OLIMPIADI INFERNALI

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Sport, devastazione e la maledizione dei grandi eventi

L’annuncio dell’assegnazione delle Olimpiadi invernali del 2026 a Milano-Cortina sta raccogliendo plausi quasi unanimi dalla politica e dalla carta stampata. La solita prosopopea dell’opportunità mondiale, del rilancio del sistema paese attraverso gli investimenti per le infrastrutture, dell’occasione unica di visibilità che avrebbe ricadute positive per anni, unita ad una certa retorica nazionalista e sciovinista pare non lasciare spazio a nessuna voce contraria.

Eppure basterebbe guardare all’esperienza di Torino 2006, con la costruzione di impianti avanguardistici ed estremamente costosi utilizzati solo in quelle occasioni e rimasti come santuari dello spreco a deturpare il paesaggio naturale; oppure all’ultima grande opera italiana, Expo 2015, che ha si avuto un ritorno d’immagine oltre ogni aspettativa per Milano, ma ha significato anche e soprattutto sperpero di denaro pubblico enorme, gentrificazione selvaggia per alcune zone della città, a tutto svantaggio delle classi meno abbienti costrette a sussistere oppure a spostarsi nella cintura esterna della città, uno sfruttamento lavorativo costruito sul mito della partecipazione, che ha visto migliaia di giovani prestare opere volontarie (ovverosia non pagate) per la buona riuscita dell’operazione di marketing, sdoganamento del project financing per finanziare arterie inutili e sottoutilizzate quali la TEM, la Bre.Be.Mi e la Pedemontana (addirittura non terminata); project financing che poi si è rivelato un modo “à la page” che tradotto significa nazionalizzazione delle perdite e privatizzazione del profitto. Tutto ciò senza scordare che la fase post Expo è ancora tutta da scrivere, con un’area immensa alle porte di Milano che si cerca a tutti i costi di mettere a profitto.

Tutto questo è ciò che è accaduto alla luce del sole, tacendo per pudore di mazzette, infiltrazioni mafiose eccetera.

Venendo al progetto di Milano-Cortina 2026, al netto di strutture già esistenti che andrebbero rimodernate, saltano subito all’occhio diverse cose. A Milano i mega cantieri saranno almeno due, nella parte sud est della città.

Il villaggio olimpico 1 (il 2 e il 3 saranno rispettivamente a Livigno e Cortina D’Ampezzo) che sorgerà allo scalo di Porta Romana e il PalaItalia a Santa Giulia.

Lo scalo di Porta Romana rientra in una strategia di lungo corso che punta a mettere a profitto tutti gli scali in disuso della capitale lombarda. Il villaggio olimpico cadrebbe a fagiolo a Porta Romana, già travolta dalla gentrificazione e “bisognosa” di un grande polo d’attrattiva che completi l’offerta commerciale della zona.

Detto en passant, lo scalo Farini fa parte della più grande operazione di riqualificazione immobiliare milanese, quella di “Garibaldi-Isola” e del complesso di piazza Gae Aulenti, del bosco verticale e del palazzo della regione; lo scalo di porta Vittoria è andato incontro ad uno scandalo dovuto al crac dell’immobiliarista Coppola ed i lavori sono bloccati da anni; alle spalle di Porta Genova si estende uno dei quartieri più trendy di Milano, fatto di musei, spazi culturali, librerie e soprattutto wine bar e osterie non esattamente a buon mercato; la stessa sorte sta accadendo a Lambrate, perlomeno nella porzione più attigua a città studi. A Greco-Pirelli, dopo la costruzione dell’università Bicocca, gli affitti in zona sono lievitati a dismisura, mentre lo scalo di Rogoredo subisce un po’ il fallimento del progetto del quartiere Santa Giulia, ma qui ci ricolleghiamo alla seconda grande opera milanese.

Il PalaItalia dovrà essere un palazzetto da 12.000 posti in una città che già conta Forum, Palalido e PalaSharp. Pensato per rilanciare l’area di Santa Giulia, che doveva essere un quartiere di lusso e avanguardia alla periferia estrema di Milano ma che non è mai davvero decollato come avrebbe dovuto, anche a causa del fallimento dei lavori allo scalo Vittoria di cui accennavamo sopra, questo palazzetto viene già da ora “venduto” come spazio che aiuterà a contrastare il degrado, dato che sorgerà non distante dal famigerato Bosco dello spaccio di Rogoredo, al centro di una criminalizzazione che ha pochi precedenti, volta non tanto a sconfiggere lo spaccio di sostanze stupefacenti, ma più che altro a liberare un’area che fa gola al capitale in una delle zone più futuribili di Milano; criminalizzazione che guarda caso non è avvenuta in altri luoghi ugualmente noti, come ad esempio il “fortino della droga” di via Bligny, dove non vanno a rifornirsi i ragazzini o delle persone che vivono ai margini della società, ma gli studenti bocconiani e molti manager della Milano bene, come testimoniato anche dall’antropologo Andrea Staid che in quello spazio ha vissuto per un anno (https://www.vice.com/it/article/78zzab/viale-bligny-42-milano-intervista-andrea-staid-i-dannati-della-metropoli-fortino-della-droga-349).

Questo per ciò che concerne Milano.

Passando alla montagna, Valtellina, Val di Fiemme e Dolomiti Ampezzane rischiano davvero grosso. Se è vero che gli impianti sportivi veri e propri sono già presenti nei territori e andranno “soltanto” tirati a lucido e magari ampliati, i pericoli veri arrivano da altre parti: infrastrutture di collegamento, richieste a gran voce da diversi sindaci dei territori olimpici; turistificazione selvaggia ed impattante; rischio di compromissione di un ambiente naturale fragile che si è conservato proprio per le difficoltà di accesso.

Per ciò che concerne le infrastrutture, appena è stata annunciata la vittoria della candidatura italiana, sono partiti dei deliri di onnipotenza tali da fare impallidire le ragioni dei SiTav: si parte dalla richiesta più abusata di prolungamento dell’autostrada A27 (cosiddetta Mestre-Belluno) fino in Austria, alla costruzione di nuovi impianti di risalita affetti da gigantismo strutturale, passando per altri due villaggi olimpici, completi di complessi residenziali fino alla fantascientifica idea di velocizzare i collegamenti tra i gangli nevralgici delle olimpiadi, sebbene non si sappia ancora come (Bormio e Cortina distano 4 ore e mezza di macchia l’una dall’altra).

A questa colata di cemento e tecnologia rilasciata su un ecosistema che ancora bene o male si regge in equilibrio, bisogna aggiungere la quantità immensa di pubblico che si riverserà in montagna, persone spesso e volentieri rispettose dell’habitat alpino, ma che nella massa indistinta di turisti che pretendono un trattamento da villaggio turistico all inclusive ovunque vadano, nemmeno si godranno il paesaggio. Si parla già di rispetto per la natura, di minor invasività possibile, di turismo responsabile. Tutte balle. Com’è possibile mantenere in equilibrio un ecosistema basato sulla poca accessibilità se al suo interno vengono inserite centinaia di migliaia di persone che possono arrivare solamente in automobile o in pullman? Centinaia di migliaia di persone che mangeranno, berranno, fumeranno, faranno acquisti, intaseranno strade secondarie, richiederanno delle aree di parcheggio enormi, tenteranno di andare per cime e sentieri senza avere né esperienza né preparazione. Una specie di apocalisse di due settimane che non potrà essere ripagata solo con l’ingente flusso di denaro che arriverà nelle tasche di ristoratori, albergatori, noleggiatori di attrezzature ma che rischierà anzi di compromettere il delicato equilibrio montano per anni, lasciando dietro di loro una mole di costruzioni in cemento che dopo l’olimpiade non avranno più senso di esistere, per mancanza di domanda.

Le serate alpine verranno trasformate in “eventifici” (cit. Alpinismo Molotov) che porteranno ai piedi delle vette alpine la “Milano da bere”, ovviamente per chi se la potrà permettere; i meno abbienti magari si accontenteranno di mangiare un trancio di pizza seduti sui gradini della chiesa, venendo magari etichettati come turisti sporcaccioni dagli amanti del decoro.

Lungi da noi cadere nella dialettica della natura salvifica, della purezza del mondo naturale dal quale l’essere umano si è distaccato; l’essere umano è animale sociale, non animale naturale e proprio per questo motivo, in quanto essere senziente, può e deve sottrarsi alla logica capitalista e mercantilista che vede il paesaggio, la flora e la fauna solo come soggetti passivi di un evento antropico.

In chiusura vogliamo evidenziare tre aspetti magari meno impattanti ma di certo importanti per capire determinati meccanismi:

  • la simbiosi totale tra le politiche legislative e le grandi opere: è di pochi giorni fa la legge detta Sblocca Cantieri, che porta con sé la riforma del codice degli appalti atta a velocizzare e snellire le procedure di appalto: un indubbio regalo alle mafie ma che guarda caso si adatta perfettamente alla cementificazione che l’olimpiade porterà con sé.

  • Il sindaco di Milano Beppe Sala si conferma vero deus ex machina del capitalismo immobiliare. Dopo aver gestito Expo ecco le olimpiadi invernali a Milano, che si inseriscono appieno in un piano almeno ventennale di messa a profitto del patrimonio pubblico meneghino inutilizzato. Sicuramente sarebbe ingiusto incolpare Sala delle scelte pregresse, ma l’ex commissario Expo è stato candidato per il PD proprio in quanto uomo in gamba a gestire questioni di urbanizzazione, privatizzazione e project financing. Un vero top manager che veste calze arcobaleno per il gay pride mentre invita a Milano gli operatori turistici del mondo LGBT+ e che firma il manifesto per l’emergenza climatica di Fridays for Future mentre si prepara a cementificare per un mega evento che si estende per centinaia di km di arco alpino.

  • Crediamo sia giusto sottolineare che dal punto di vista sportivo, l’olimpiade rappresenta una delle vette più alte, fatta di atleti straordinari con doti assolutamente non comuni. Ma ci piace chiudere con le parole di Carlo Alberto Pinelli, presidente onorario di Mountain Wilderness International e accademico del CAI: “Non ho difficoltà ad affermare che non mi schiero solo contro le Olimpiadi di Milano-Cortina. Sono contro qualsiasi Olimpiade, così come quei giochi sono stati ridotti dall’avidità consumistica e dalla spettacolarizzazione più becera, in totale disprezzo per il significato della montagna e dei suoi valori”.

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Allevare menti per pascolare pensieri

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Gli alunni della scuola elementare “Trento e Trieste” di Cremona sono stati recentemente in visita nella caserma dei carabinieri cittadina, nell’ambito di iniziative volte a creare una cultura della legalità.
Ebbene, come risulta dalle foto scattate dagli stessi carabinieri, i bambini hanno partecipato ad attività che prevedevano tra le altre cose lo schieramento con caschi e scudi antisommossa, una simulazione di perquisizione e saluti militari, il tutto sotto gli sguardi divertiti e partecipi delle insegnanti.

Più che alla cultura della legalità, i bambini hanno partecipato a un insegnamento sull’irregimentazione e sulle tecniche repressive che avremmo loro risparmiato volentieri.

Invece che provare a spronarli ad essere aperti e curiosi per provare a capire le scaturigini del dissenso, a quanto pare si è preferito insegnare loro che il dissenso non è mai giusto e che va fermato con caschi e scudi, guidati da un superiore che brandisce un manganello.

Invece che lavorare affinchè ogni giovane individuo sia in grado di trovare gli strumenti culturali e sociali per affrontare la realtà che si troverà di fronte, gli si fa capire che questa realtà deve rimanere immutabile e garantita anche con la forza.

Sono ben altri gli strumenti per formare le giovani generazioni; crediamo fermamente che farle partecipare a una sorta di “gioco” che simula una realtà fatta di fin troppe zone d’ombra non giovi in alcun modo alla formazione di una cultura – sia pure legalitaria – come si è voluto far credere con questa iniziativa.

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Morire di lavoro

La sicurezza che vogliamo

capitalismo

Uscire di casa per andare al lavoro e non tornare più. E’ successo ancora, questa volta a Cremona, dove un operaio di 28 anni, Marco Balzarini, ha perso la vita travolto da un “muletto” all’interno dell’acciaieria Arvedi.
Non è il primo incidente mortale che avviene all’interno di questa mega area industriale, già nel 2014 un altro operaio era rimasto ucciso durante il turno di lavoro.
A novembre dello scorso anno i rappresentanti dei lavoratori avevano richiesto esplicitamente maggiore sicurezza, evidentemente consapevoli dei rischi presenti nei processi di lavorazione all’interno dell’azienda.
Le morti sul lavoro non sono mai tragiche fatalità ma conseguenze di un sistema economico improntato sull’incremento di produttività e di utili, abbattendo i costi relativi alla sicurezza, ritenuti spesso superflui perchè incompatibili con l’efficienza e la produttività.
I recenti provvedimenti del governo, coerenti con questa linea, hanno tagliato i fondi riservati all’INAIL, abbassando del 32% i premi delle imprese per l’assicurazione obbligatori, e i fondi per la formazione sulla sicurezza.
Ogni giorno è necessario aggiornare la tragica conta dei caduti sul lavoro, ma ancora non riesce a passare il messaggio che queste morti sono legate a doppio filo al modo di produzione capitalista, che per propria natura è basato sullo sfruttamento dei lavoratori per permettere a pochi di fare guadagni sempre maggiori.
Gli imprenditori parlano di liberalizzazione del mondo del lavoro, di normative soffocanti, di rischi d’impresa sempre maggiori; ma i rischi veri li vivono sulla loro pelle i lavoratori, rischi concreti e spaventosi come gli incidenti sul lavoro che, come in questo ultimo caso, possono essere addirittura mortali.

La federazione cremonese di Alternativa Libertaria/FdCA esprime il proprio cordoglio e la propria solidarietà a tutte le famiglie dei lavoratori morti sul lavoro.

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