Riflessioni sui libertari e la partecipazione elettorale in Cile

  bolivia / peru / ecuador / chile | movimiento anarquista | opinión / análisis  Friday December 27, 2013 16:40 by José Antonio Gutiérrez D. – Rafael Agacino 

Le recenti elezioni presidenziali in Cile, in cui l’astensionismo –superiore al 50%- è stato il vincitore assoluto, erano prevedibili salvo la comparsa nello scenario politico-elettorale di un settore che si dichiara di intenti rivoluzionari e di sinistra libertaria. La Red Libertaria (RL) aveva aderito fortemente ed entusiasticamente alla piattaforma “Todos a la Moneda”, il cui candidato era Marcel Claude. Il nostro obiettivo  non è mettere in discussione le forme con cui questa scelta è stata presa (o imposta, a seconda delle opinioni) e le sue implicazioni per il movimento libertario in Cile. Tanto meno ci interessa, soprattutto, l’impatto di tale decisione nel campo specifico che si dichiara proveniente dalla tradizione anarchica. Ancora meno qui si propone di fare un’analisi del programma di “Todos a La Moneda” o delle forze politiche che sostenevano questa piattaforma. Ci interessa, invece, valutare l’impatto di questa decisione su un settore molto più ampio delle persone rappresentate da questa piattaforma elettorale e molto più ampio di quei settori provenienti dalla tradizione libertaria; contribuire con le nostre riflessioni al dibattito di carattere tattico e strategico su questo processo di ricomposizione del movimento sociale in Cile.

"One Size Fits All", caricatura de Leonardo Ríoscile

“One Size Fits All”, caricatura de Leonardo Ríos


Riflessioni sui libertari e la partecipazione elettorale in Cile

Le recenti elezioni presidenziali in Cile, in cui l’astensionismo –superiore al 50%- è stato il vincitore assoluto, erano prevedibili salvo la comparsa sullo scenario politico-elettorale di un settore che si dichiara di intenti rivoluzionari e di sinistra libertaria. La Red Libertaria (RL) aveva aderito decisamente ed entusiasticamente alla piattaforma “Todos a la Moneda”, il cui candidato era Marcel Claude[1]. Questa piattaforma comprendeva la Unión Nacional Estudiantil (UNE), settori sindacali come il SITECO ed i bancari, istanze politiche come il Partido Humanista, Izquierda Unida, il Movimiento Patriótico Manuel Rodríguez e  la menzionata RL.

Come era prevedibile, questa decisione ha prodotto una sensazione di disagio, di malessere e di disorientamento nei settori che si rifanno al movimento libertario, producendo rotture, recriminazioni e delusione. Non solo la decisione in sè di  partecipare alle elezioni ha prodotto una reazione tellurica nel movimento libertario cileno, ma anche la  maniera con cui è stata presa la decisione (con accuse di segretezza, l’imposizione di slogan, la mancanza di trasparenza e di dibattito, ecc.), come si apprende da una serie di comunicati emessi dalla OCL-Cile (organizzazione ispiratrice della RL), dal Frente Anarquista Organizado (FAO), dal CAL e dalla Red Libertaria Estudiantil (RLE)[2].Le repliche di questo sisma politico si avvertiranno, di sicuro, per un lungo periodo.

Il nostro obiettivo non è mettere in discussione le forme con cui questa decisione è stata presa (o imposta, a seconda dei punti di vista) e le sue implicazioni per il movimento libertario cileno. Crediamo che questo spetti a coloro che si ritrovano direttamente vincolati, organicamente, alle espressioni politiche che hanno creato la RL o a coloro che ne hanno preso le distanze.

Tanto meno ci interessa, principalmente, l’impatto che tale decisione ha sul campo specifico che si dichiara proveniente dalla tradizione anarchica. A parte i comunicati su menzionati, sono già comparsi interessanti articoli al riguardo, tra cui quelli di Arturo López e Pablo Abufom.[3] Ancor meno intendiamo fare un’analisi del programma di  “Todos a La Moneda” o delle forze politiche che sostenevano tale piattaforma. Ci interessa, invece, valutare l’impatto di questa decisione su un settore molto più ampio delle persone rappresentate da questa piattaforma elettorale e molto più ampio di quei settori provenienti dalla tradizione libertaria; contribuire al dibattito di carattere tattico e strategico su questo processo di ricomposizione del movimento sociale in Cile.

I libertari e la questione della partecipazione elettorale

I libertari, tradizionalmente, sono contro la partecipazione elettorale dei rivoluzionari. Di gran lunga, è questo che li ha distinti in seno alla Prima Internazionale dalle diverse correnti socialdemocratiche[4]. Tuttavia, ci sono state situazioni eccezionali in cui gli anarchici hanno promosso candidature o hanno partecipato alle elezioni. Si cita frequentemente il caso delle elezioni in Spagna del 1936, ma ci sono altri casi, come alcune candidature di “protesta” proposte in Italia o in Francia a cavallo delle decadi 1870/1880 (tattica difesa da Carlo Cafiero nel suo famoso articolo “L’azione” in cui si definiva anche la “propaganda col fatto”). Nel contesto di repressione che avvolgeva l’Europa dopo la sconfitta della Comune di Parigi, Bakunin raccomandava ad alcuni dei suoi seguaci in Italia di partecipare a piattaforme elettorali insieme ai socialisti riformisti. Anche la FCL francese partecipó alle elezioni locali, nel bel mezzo della repressione che paralizzò la Francia alla metà degli anni ’50, in guerra contro i secessionisti algerini (partecipazione elettorale che lo stesso Georges Fontenis, principale  dirigente della FCL, riconobbe anni dopo essere stata un errore)[5].

Tuttavia, rimane il fatto che nella stragrande maggioranza dei casi, gli anarchici (tradizione politica da cui trae origine il termine “libertario”) si sono dimostrati ostili alla partecipazione elettorale per buone ragioni. Uno dei nostri in passato ha scritto che:

Gli anarchici non sono per definizione contro le “elezioni” come meccanismo; se quando ci sono le elezioni invitiamo ad annullare il voto o a non votare, lo facciamo in base al contesto in cui si esercita il voto: cioè dentro l’apparato dello Stato, che in questo modo riafferma la sua dominazione su coloro che sono esclusi dal processo decisionale (…). La nostra opposizione non è al voto in quanto tale, ma all’apparato statale in tutte le sue dimensioni.“[6]

Dunque non ci si deve soprendere se questa decisione di aderire al lavoro elettorale abbia causato scalpore e discussione, soprattutto quando si cerca di dimostrare che non si tratta di una scelta estemporanea, bensì di una nuova tattica da inserire nell’arsenale dei metodi della RL, che verrà applicata in tutte le elezioni a venire[7].

Il rituale elettorale e la ricomposizione di un blocco rivoluzionario

L’eccezione non può diventare la regola.. E’ per questo che la partecipazione elettorale di questo settore che si richiama alla tradizione libertaria non va ricercata nell’ideologia bensì nella lettura che si fa del periodo storico, vale a dire che la situazione del Cile nel 2013 non è  paragonabile alla repressione che seguì alla Comune di Parigi (limitando seriamente le possibilità di azione e di intervento del nascente movimento operaio), nè al contesto in cui si tenne il Plebiscito del 1988 in un Cile ancora sotto dittatura, nè alle condizioni di terrore imposte nel Kurdistán da una guerra sporca, nè ancor meno alle elezioni del 1994 nel Sud Africa post-apartheid, nè infine se si esce dai fallimenti di una lotta armata.

Il periodo iniziato nel 2006 in Cile, è caratterizzato da una crescita delle mobilitazioni popolari e da un deterioramento del consenso verso il modello neoliberista imposto negli ultimi 4 decenni. In questo contesto, la proposta libertaria, ha iniziato a coinvolgere frange sempre più importanti, soprattutto studentesche (vedi il recente trionfo elettorale di Melissa Sepúlveda nelle elezioni universitarie della Fech), ma anche sindacali e, in minor misura, frange popolari e di territorio. La sinistra classica, sia riformista che rivoluzionaria, così come diversi settori popolari organizzati, non sono rimasti indifferenti a questa situazione e ne sentono la pressione.

Da un settore libertario è giunta la affermazione che le mobilitazioni sociali hanno ormai raggiunto il tetto, tesi che secondo la nostra opinione non è corretta, e che si deve dunque passare da una strategia di costruzione ad una strategia di contesa dell’egemonia al blocco al potere, tesi, secondo la nostra opinione, corretta, anche se poco precisa ed affrettata. Questa tesi è stata articolata in uno slogan, la “rottura democratica”, con cui si intedeva dire, sostanzialmente, che “è possibile conquistare ed estendere mediante il voto programmatico ciò che la lotta popolare dei sindacati, nel territorio, nelle comunità e nel movimento studentesco non è riuscita a conseguire”[8]. Crediamo sia necessario dibattere le premesse da cui deriva tale slogan, dal momento che esso non è che l’espressione di una lettura scorretta ed affrettata della realtà, mediante elementi concettuali ricercati meccanicamente da altri contesti e da altre esperienze, cosa che rivela la mancanza di maturità politica in cui ancora ci troviamo.

Rispetto al primo punto, la mobilitazione sociale non ha raggiunto nessun tetto, nè in termini oggettivi nè soggettivi. Ci sono ancora ampie possibilità di mobilitazione, è ancora questione di oggi la necessità di mobilitare settori sociali ben oltre quelli studenteschi o di certi ambienti operai (sempre minoritari, per quanto “strategici” possano essere). Questa mobilitazione, che deve essere estesa, unificata dal basso, qualificata in termini di militanza, è il punto centrale per la ricostruzione di un movimento popolare con indipendenza di classe e capacità di contendere l’egemonia al blocco di potere, compito ancora in divenire. Nelle condizioni attuali di debolezza del movimento operaio e popolare la partecipazione (e la sconfitta) elettorale, invece di aprire uno spazio per contribuire all’unità ed alla lotta popolare, come era nelle intenzioni di coloro che hanno promosso la candidatura di Claude, ha portato ad indebolire i tentativi di accumulazione di forze di rottura. Tale tattica ha senso solo se esiste uno stato di accumulazione di forze che, indipendentemente dall’esito, porti ad elevare il morale della lotta, a rafforzare l’organizzazione popolare e dei lavoratori, ma che non porti a cedere nè la conduzione nè l’iniziativa di mobilitazione ai settori riformisti, tanto quelli in bilico quanto quelli chiaramente reazionari. Col rischio di finire, come si dice volgarmente, a fare il portatore d’acqua del riformismo.

Nelle condizioni attuali, questa “avventura elettorale”, nel migliore dei casi minaccia di arrestare i processi di costruzione e di mobilitazione politico-sociale per i prossimi mesi, e nel peggiore dei casi, minaccia di sottoporre le frange indipendenti a frizioni e frazionamenti che, come sappiamo, porteranno dei costi enormi al processo di costruzione e di convegenza dei rivoluzionari. Come ha scritto Arturo López in un articolo sulla linea assunta da RL, “nel contesto della formazione sociale dello Stato capitalista in Cile, (…) tutte le riforme che perseguono la trasformazione parziale ancorchè sostanziale dell’attuale modello di accumulazione e della blindatura istituzionale richiedono l’organizzazione continua e permanente delle forze sociali per il cambiamento.  Pertanto le elezioni in questo caso non aiutano a creare coscienza, confondono, non promuovono la lotta, ma al contrario le paralizzano proponendo un miraggio. Non puntano direttamente al conseguimento di conquiste, bensì alla deriva sostituendo la mobilitazione popolare con un torbido gioco parlamentare.”[9]

Rispetto alla necessità di passare dalla costruzione alla contesa, questa è una tesi corretta, per quanto frettolosa e poco precisa.  Anche se il processo di costruzione/contesa deve essere visto come unità dialettica, vi sono accenti che dipendono dal fatto che il Cile attuale e la fase che il paese sta attraversando portano i segni profondi lasciati dalle sconfitte strategiche vissute nel periodo 1973-1990. Non possiamo peccare nell’essere eccessivamente ottimisti sullo stato di costruzione o di combattività del movimento popolare; la presenza in alcuni settori operai o studenteschi con incarichi di rappresentanza non è un metro sufficiente a misurare la situazione di tutto il popolo.  L’inserimento nei settori popolari continua ad essere ancora molto scarso e non possiamo sostituire una lettura obiettiva della realtà con un desiderio, anche se un settore del movimento libertario sovrastima la sua importanza ed il suo inserimento.

Ciò che è certo è che dobbiamo riconoscere i limiti oggettivi che si sono riscontrati nello sviluppo di una strategia rivoluzionaria in Cile. Dal costruire potere popolare come slogan alla costruzione di fatto di questo potere in aperta contraddizione con lo status quo, c’è una distanza ancora molto ampia. E’ necessario identificare i limiti, i punti deboli ed i punti forti da cui costruire. Pensare le possibilità strategiche in questo periodo richiede non solo realismo, ma anche una buona dose di creatività politica per non riprodurre uno schema politico (vedi il rituale elettorale) che, per quanto venga venduto come “nuovo”, resta sempre molto banale, non porta a catturare l’immaginario di una popolazione che si mantiene indifferente e infine manda un segnale contraddittorio a coloro che lottano. Il dato dell’affluenza alle urne pare essere una buona dimostrazione del fatto che ciò che ha toccato il tetto è stata solo l’immaginazione della sinistra rivoluzionaria e libertaria.

Boicottaggio elettorale e costruzione del potere popolare dal basso

L’astensionismo, come già detto, è stato il grande vincitore delle passate elezioni. Di per sè, questo non significa nulla dal punto di vista di accumulazione di forze per il nostro blocco. Nessuno, almeno nella sinistra rivoluzionaria o gli anarchici, può assumere l’astensionismo come un segnale di sostegno politico. Di fatto, al primo turno la capacità di propagandare l’astensione da parte delle organizzazioni popolari e rivoluzionarie è stata molto scarsa, in gran parte a causa di una certa confusione e dello scoraggiamento suscitato dalla candidatura di Claude. Era difficile recuperare questo impatto in un paese come il Cile, in cui fare politica significa andare a votare o presentare candidati; e se no si assume di restare fuori dalla congiuntura… Vista da vicino emerge la  poca nostra capacità pratica e di organizzazione nel non aver lanciato un boicottaggio attivo di queste elezioni.

La decisione di partecipare alle elezioni diventa ancora più difficile da capire (da una logica o da una razionalità libertaria) nella misura in cui, come abbiamo detto, la proposta libertaria aveva un’eco sempre più importante in frange popolari sempre più consistenti mentre la delegittimazione del blocco dominante nelle istituzioni aveva raggiunto un punto storico. Invece di contribuire con strumenti per aiutare a forgiare un’alternativa politica al di fuori dell’arena politica abilmente disegnata dal blocco di potere (col fine di intorpidire e confondere il terreno reale su cui si leva la lotta di classe), si è puntato a legittimare le istituzioni nel piccolo ma significativo circolo di influenza che hai, e così a rafforzare la divisione nella dissociazione tra  “politico”[10] e “sociale”, anche se inizialmente si intendeva fare tutto il contrario[11]. Lo stesso nome della piattaforma elettorale, “Todos a la Moneda”, in una certa misura esprimeva questo feticismo del “potere politico”, questa “statolatria” che Poulantzas descrive come endemica nelle classi medie, che vede lo Stato come arbitro, neutrale, giusto, frutto di un contratto sociale per superare la lotta di classe, fonte di tutto il potere[12], quando in realtà la contesa del potere, dell’egemonía, si esplica con la borghesia in tutte le sfere sociali, quotidianamente in ogni ambito.

Su questo punto, la critica anarchica resta potente e rilevante quando critica la logica dello Stato “democratico-rappresentativo”, che si riflette nel gioco elettorale mediante la creazione di:

uno spazio artificiale, ad-hoc e fittizio, dentro il quale si gestisce, presumibilmente, l’ambito del politico, in cui si muove la amministrazione del potere (…) è questo il punto in cui si deve incentrare la critica acuta degli anarchici a questa forma di esercitare la politica: perchè nella nostra concezione il potere deve essere esercitato direttamente negli spazi quotidiani ed in tutti gli ambiti della nostra esistenza. (…) E’ per questo che il potere popolare deve essere realizzato alla stessa maniera, divenendo padroni dell’interezza della nostre vite (…) La non partecipazione alle elezioni borghesi non può essere considerata uno dei fondamenti politici della militanza rivoluzionaria anarchica, ma deve staccarsi naturalmente dalla nostra strategia di costruzione in seno alla classe operaia.“[13]

Perciò sosteniamo che da una prospettiva di ricomposizione di un blocco rivoluzionario, così come da una prospettiva strategica di costruzione del potere popolare dal basso, la tattica più vincente, per quanto tutt’altro che semplice, nel momento attuale e di fronte a ciò che si annuncia col nuovo governo di coalizione di Bachelet, era il boicottaggio elettorale. Cosa poteva significare una politica di astensionismo attivo nella congiuntura attuale?

·  denunciare il canto delle sirene della coalizione “Nueva Mayoría” che ci invita a partecipare come “cittadini” responsabili, e in secondo luogo, l’illusionismo dei settori della sinistra radicale (e libertaria) che pretendono di convincerci che, pur non chiamando al voto per il secondo turno, il cammino della partecipazione elettorale nelle attuali istituzioni mantiene la sua validità nel periodo;

·  invitare ad organizzarsi a tutti i livelli: nelle scuole, nei licei, nelle università, nei luoghi di lavoro, nei quartieri e nelle comunità, intorno alle rivendicazioni locali, popolari e dei lavoratori, anteponendo ai ritmi della politica borghese la nostra alternativa e la sua costruzione dal basso;

·  invitare ad accelerare i processi di convergenza politico-sociale all’interno di referenti federativi che, rispettando la vitalità e la specificità degli organismi di base, contribuisca ad unificare ed amplificare la voce e l’opinione politica di coloro che scelgono la costruzione del potere popolare nelle sue diverse espressioni, coordinando orizzontalmente le differenti iniziative popolari di base.

Compito titanico ma che bisogna assumere senza massimalismi, con la prospettiva che il compito di ricomposizione del movimento popolare e rivoluzionario è un compito lento, prolungato, per il quale non sono previste scorciatoie, che richiede di gettare le basi per poter sviluppare livelli di confronto e di organizzazione estesi che possano erodere la attuale egemonia neoliberista.

Proiezioni politiche per il periodo post-elettorale

RL ha sostenuto che  “Todos a La Moneda” non era uno spazio meramente elettorale, bensì un polo di costruzione (cioè dall’alto) per la lotta dal basso. Il fatto è che dopo le elezioni il panorama politico per la sinistra rivoluzionaria, in termini di ciò che si pensava di far avanzare a livello di unità e di organizzazione, non cambia sostanzialmente rispetto al periodo precedente alle elezioni -seguitando il lavoro negli stessi settori e negli spazi di prima. Piuttosto, il settore libertario ed il suo cerchio di influenza, così come la sinistra radicale a cui si rivolgeva la candidatura di  Claude, si ritrovano oggi più frammentati, attraversati dalla sfiducia e da un clima interno di sospetto.  Nella stessa piattaforma elettorale le liti e le dispute intestine hanno soffocato le proiezioni strategiche dello spazio, fatto indubbiamente aggravato dal gusto amaro della sconfitta.

La stessa RL riconosce inequivocabilmente che la scarsa performance elettorale della piattaforma è un fallimento: “La percentuale del  2,8% si pone molto al di sotto delle aspettative, incluse le più pessimistiche”[14]. La sconfitta, senza dubbio, non è solo elettorale, come pare fare intendere RL, ma è una sconfitta strategica, profondamente politica, espressione della incapacità di creare un progetto coerente con le attuali condizioni in Cile, fuori ed in opposizione ai rituali di auto-legittimazione della democrazia rappresentativa e  delle istituzioni dello Stato (borghese, tra l’altro). Anche se non possiamo sovradimensionare il settore critico della popolazione in base alla ampiezza della recente mobilitazione sociale, non possiamo nemmeno confondere la necessità di costruzione di una alternativa politica con l’intervento nelle istituzioni dello Stato (neoliberista): la logica della ricomposizione del movimento popolare tende a cercare alternative nell’azione diretta, nella auto-organizzazione, di base e orizzontale. Qui, soprattutto, sta il vero apporto del libertario nel far la lotta popolare oggi. Paradossalmente, quando dai “libertari” vengono voci per la partecipazione elettorale nelle discredidate ed usurate istituzioni, siamo di fronte ad un arretramento.

Il periodo politico apertosi in Cile si annuncia di grande complessità per le classi dominanti e per il movimento popolare. Il blocco al potere deve riorganizzare un sistema politico sempre più usurato e gestito, come tutti sanno, col bastone e la carota. Cercheranno di cooptare il movimento popolare e dei lavoratori per legittimare gli adeguamenti che tale riorganizzazione richiederà, contando ora sul consenso espresso dalla direzione politica di un Partito Comunista consenziente. Sappiamo anche che coloro che non si sottometteranno alle regole della “repubblica” si ritroveranno oggetto di tutta la forza repressiva statale riservata a chi si rifiuta di continuare a riprodurre sfruttamento, discriminazione, disuguaglianza, ingiustizia, corruzione e distruzione delle basi socio-ambientali della vita collettiva. Le frange della sinistra indipendente, siano comunisti, marxisti, libertari o socialisti ora non possono continuare ad essere autoreferenziali e devono moltiplicare i loro nessi con il movimento dei lavoratori e popolare, moltiplicare i loro sforzi per accelerare il processo di convergenza politico-sociale e generare le condizioni politiche per riconquistare l’iniziativa ed aprire il cammino tra gli spiragli che si aprono nella dominazione politica che il capitale ha imposto al Cile a partire dalla controrivoluzione neoliberista del 1973.

Non sono compiti facili. L’unità su cui i libertari hanno tanto insistito, diventa oggi non solo una necessità ma un’urgenza strategica. Il dibattito, da sempre, non è sull’unità ma su come la si intende, come la si sviluppa, come la si costruisce. E’ su questo punto che il comunismo anarchico creolo diede un grande contributo quando il Congresso di Unificazione Anarco-Comunista nel 2002 lanciò lo slogan, oggi più rilevante che mai, della Unità dal basso e nella lotta. Ed era intesa come la “costruzione programmatica a partire dalle esperienze organizzative e di lotta realmente esistenti”, per contribuire al “rafforzamento delle organizzazioni popolari, veri soggetti della lotta rivoluzionaria (…) sottolineando il protagonismo politico del popolo stesso organizzato nel compito di maturare le sue posizioni e migliorare la sua capacità di lotta”[15], come scrive  eloquentemente Pablo Abufom.

Questo dibattito compete a tutto il popolo, specialmente alla sua frangia organizzata ed in lotta. Il come proiettare le richieste del movimento popolare verso una alternativa di chiara rottura col sistema attuale è un compito urgente che non può essere assunto se non mediante un approfondito dibattito pubblico, collettivo, democratico, informato, ed in cui si rispettino e si dibattano le differenze nella ricerca dei punti di confluenza e di accordo, conoscendo e rispettando le differenze, forgiando il consenso senza imporlo. Ci sono molte questioni che restano irrisolte per i rivoluzionari nella attuale congiuntura: come lottare per le riforme andando oltre il riformismo; come articolare queste lotte in un progetto socialista integrale e liberatore; come costruire processi di unità senza rinunciare alla indipendenza di classe; come avanzare nella costruzione del potere popolare evitando la cooptazione; come qualificare queste lotte con più discussione politica senza nascondere con vergogna le nostre credenziali politiche; come forgiare il movimento di massa senza paura se le nostre posizioni non sono sempre maggioritarie. Tutto questo, naturalmente va oltre l’oggetto di questo scritto. In questo dibattito collettivo, teorico-pratico, che deve coinvolgere tutta la sinistra rivoluzionaria, tuttavia, crediamo che i comunisti anarchici abbiano un ruolo fondamentale da svolgere ed un contributo molto specifico, unico, da portare.

José Antonio Gutiérrez D.
Rafael Agacino

23 dicembre 2013

(traduzione a cura della Ufficio Relazioni Internazionali della FdCA)


[1] http://www.elciudadano.cl/2013/07/01/72475/declaracion-…aria/
[2] http://anarkismo.net/article/26441 http://anarkismo.net/article/26283 http://anarkismo.net/article/26394 http://www.elciudadano.cl/2013/11/04/97420/declaracion-…hile/
[3] http://www.perspectivadiagonal.org/una-izquierda-libert…aria/ y http://www.perspectivadiagonal.org/los-horizontes-del-m…ario/
[4] Ovviamente, questa non era la sola distinzione tra “bakuninisti” e “marxisti”, nè tantomeno la differenza tattica deve considerarsi al margine di altri fattori di dissenso. Il dibattito che portò alla rottura della Prima Associazione Internazionale dei Lavoratori fu molto più complesso dell’essere “a favore o contro le elezioni”. Ci furono, anche, questioni di metodo, di autonomia delle sezioni coinvolte nell’elaborazione della tattica, e per questo non tutto il settore che andò a formare l’ala “anti-autoritaria” (in opposizione al settore guidato da Marx) confluì nell’anarchismo.
[5] Lasciando da parte il dibattito sulle tesi del municipalismo libertario sviluppate dall’ecologista sociale ed anarchico statunitense Murray Bookchin negli anni ’80, le quali hanno influenzato particolarmente il movimento di liberazione curdo, poichè lo sviluppo di tale tesi risponde ad elementi totalmente differenti da quelli espressi da RL. In un articolo abbastanza equilibrato e ben ponderato, alieno da ogni dogmatismo, Ulises Castillo tocca il tema del municipalismo libertario: “
perchè rifiutare una realtà futura in cui istanze intermedie come una, per ora immaginata, municipalità instituzionalizzata permetteranno di disperdere il potere statale, credo che un tempo di  rafforzamento delle comunità politiche organizzate, all’insegna di un processo di transizione per un modo di vita e di organizzazione socialista, non possa essere negato a priori. Ma è proprio il blocco istituzionale attuale, oltre alla natura dello Stato in CIle, che negano la possibilità di vedere con buoni occhi il rafforzamento di questa istituzionalità attraverso la legittimazione concessa alla finzione della rappresentanza.”. http://www.perspectivadiagonal.org/los-libertarios-y-la…ados/
[6] http://www.anarkismo.net/newswire.php?story_id=8565
[7] http://www.sicnoticias.cl/movimiento-social/2013/12/10/…neda/
[8] http://www.perspectivadiagonal.org/una-izquierda-libert…aria/ L’articolo in cui la tesi della rottura democratica è stata tracciata com maggior chiarezza concettuale è stato scritto da  Felipe Ramírez http://www.perspectivadiagonal.org/una-apuesta-revoluci…aria/
[9] http://www.perspectivadiagonal.org/una-izquierda-libert…aria/ (sottolineatura nell’originale)
[10] Equiparato a “statale”.
[11] http://www.elciudadano.cl/2013/07/01/72475/declaracion-…aria/
[12] Nicos Poulantzas “Fascismo y Dictadura”, Ed. Siglo XXI, 2005, pp.282-284.
[13] http://www.anarkismo.net/newswire.php?story_id=8565
[14] http://www.sicnoticias.cl/movimiento-social/2013/12/10/…neda/
[15] http://www.perspectivadiagonal.org/los-horizontes-del-m…ario/


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