Il 17° congresso CGIL ha subito – con la firma dell’accordo del 10 gennaio 2014, a congresso avviato – una radicale modifica.
La firma posta dalla segreteria a quell’accordo, la sua ratifica da parte del CDN del 17 gennaio si possono definire un colpo di mano (ovvio che come tutti i colpi di mano c’è un elemento di fondo: la slealtà politica) che scombina e supera le pur diverse posizioni congressuali di partenza.
La CGIL entra così a pieno titolo nella dimensione sindacale che accompagna la ristrutturazione in atto del capitale assieme alle altre confederazioni che già anche in modo formale avevano tagliato questo traguardo. La trasformazione quindi da sindacato confederale – generale a sindacato aziendalista –corporativo di mercato.
Il metodo utilizzato mette in evidenza e fa entrare nel congresso tre punti: a) la democrazia nel rapporto con i lavoratori; b)la democrazia di organizzazione e ruolo dei lavoratori nell’organizzazione; c)la confederalità.
La lotta politica che si concentra sui contenuti dell’accordo e sulla democrazia, assume livelli di scontro elevati tra chi (FIOM e alcuni territori nonché delegati di altre categorie) resiste a questo passaggio – tra l’altro mai discusso a nessun livello- e la segreteria confederale.
Ne risulta la fine del ruolo della rappresentanza nei luoghi di lavoro come espressione diretta dei lavoratori e quindi il loro diritto ad averla come espressione di autonomia/coalizione.
Per costruire un sindacato aziendalista il referente-controllore degli accordi deve essere esterno: si costruisce quindi una forma organizzata elitaria.
Questo rimanda o meglio ha punti di contatto con la modifica in atto della democrazia liberale.
Tutto questo riporta alla confederalità. La struttura organizzativa della CGIL è sì una piramide, ma molto allargata alla base: infatti combina assieme il livello territoriale, le camere del lavoro, il livello regionale e nazionale. Ne discendono due riferimenti: i centri decisionali sono estesi anche a livello territoriale, Comitati direttivi delle categorie e i Comitati Direttivi delle camere del lavoro, questi ultimi come momento di sintesi e di discussione e quindi di generalizzazione dei contenuti approvati a livello territoriale. In tutte e tre le istanze è presente una alta percentuale di delegati. Senza quindi una partecipazione diretta della rappresentanza dai luoghi di lavoro, il tutto implode, o meglio, viene sostituito da qualcos’altro che cambia la natura dell’organizzazione CGIL.
Lo schema si ripete a livello categoriali, regionale e nazionale
IL ruolo nazionale del C.D.N. confederale risulta: di sintesi, di generalizzazione dei contenuti e di unificazione/ estensione delle lotte. Ovviamente il livello nazionale ha già assunto un ruolo sempre più decisionista e accentratore negli ultimi anni, in netto contrasto con la sua funzione: per questo si parla di crisi della confederalità, sempre negata dalle varie segreterie nazionali che si sono avvicendate negli ultimi 12 anni.
Questo ha trascinato con sé il resto, riducendo il ruolo e la funzione delle categorie stesse: nel caso FIOM tutti i tentativi di normalizzazione hanno questo scopo.
A differenza di confederazioni di sindacati anche esteri, oltre alla CISL, ad esempio AFL-CIO, DGB, TU, ecc., la CGIL risulta una confederazione con varie istanze che non esistono se non hanno la partecipazione a livello territoriale dei lavoratori. L’operazione in atto taglia questo punto, verticalizza e chiude, mentre -data la scomposizione della classe- occorrerebbe il contrario: aprirsi sul territorio e diventare punto di riferimento avviando un processo di riunificazione della classe.
Due elementi emergono: la necessità di assumere anche come sfida l’analisi sulla composizione di classe: l’azione del capitale “riplasma”il corpo di classe. Ci troviamo di fronte ad una complessa articolazione difficile da ridurre a soggetto unitario, né esistono scorciatoie per farlo, siano esse le moltitudini, ideologismi identitari, gerarchie di spezzoni di classe, ecc.
E’ per non cadere in questo che parliamo di ricostruzione di una “rappresentanza sociale” che ci permetta di cogliere in contesti sempre variabili le lotte o meglio le pratiche delle lotte.
Il congresso CGIL in corso delinea una risposta del gruppo dirigente alla crisi/declino del sindacato che rinuncia all’autonomia dei lavoratori nel conflitto capitale lavoro. Non crediamo vi siano soluzioni sostitutive: i congressi CGIL sono complessi, per la composizione, l’estensione e i numeri (iscritti) dell’organizzazione. Rimaniamo convinti che una parte della riflessione e della pratica sul futuro del sindacato esca anche da “pezzi” di CGIL, dove siamo presenti.
Fano, 16 marzo 2014
86° Consiglio dei Delegati della FdCA