Il primo problema del decreto sicurezza è proprio il nome, che rispecchia in sé tutti i suoi contenuti, in perfetta assonanza con le motivazioni di chi lo ha scritto e di chi lo ha approvato.
Il decreto sicurezza si occupa di rassicurare chi lo scrive e chi lo ha commissionato, i padroni e la classe dominante: serve a tenere a bada i poveri, le classi oppresse e sfruttate della nostra società. Ma la povertà e la miseria, ancora più povertà e miseria, è ciò che fa paura anche a chi, dopo anni di precarizzazione e immiserimento, di servizi sempre più dequalificati, di accurata propaganda securitaria, vede in chi sta peggio ciò in cui rischia di ridursi, e chi vuole strappargli quel poco che ha, e che spera di conservare. Perché, anche se spesso si sbaglia nel capire di chi è la colpa, l’89 per cento delle persone a basso reddito non vede oggi alcuna possibilità, in Italia, di cambiare in meglio la propria condizione di vita… e se le cose continuano così, ha anche ragione.
Così migranti, persone in situazione di strada, ma anche e soprattutto movimenti e organizzazioni sociali che si battono per i diritti, sono i veri bersagli del decreto che porta il nome del ministro delle interiora. Si vuole, in poche ed evidenti parole, togliere ogni agibilità politica, ma anche ogni spazio di vita e di respiro, a chi lotta per i propri e gli altrui diritti, alla casa, al lavoro, alla libertà.
Decreto cattiveria
Non c’è infatti alcuna altra spiegazione sensata, sia pure ideologicamente perversa, alla cattiveria istituzionale di cui siamo costretti a prendere atto ogni giorno. Cattiveria gratuita che si esplicita ogni giorno contro donne, uomini e bambini a cui vengono sottratti libertà, dignità, diritti, persino quello medioevale di asilo e carità.
Smantellare il sistema SPRAAR, capillare e permeato dalla società civile, a favore dei CARA è almeno un evidente favore alle mafie, non solo dell’accoglienza. Gli sgomberi abitativi possono essere ammantati di un ritorno a una legalità formale (che ovviamente sa sempre bene dove fermarsi). La guerra giudiziaria alle ONG può passare come forma di contrattazione nazionalista e muscolosa, per quanto sulla pelle e sulla schiena di persone in cerca di fortuna. Ignobile, ma plausibile. Ma il pervicace accanimento razzista sempre più capillare, dall’esclusione delle famiglie straniere dalle misure di sostegno al reddito all’aumento delle tasse indirette sui trasferimenti di denaro all’estero per le piccole cifre, il carcere per i mendicanti e per chi cerca di sopravvivere anche in queste condizioni, la guerra ideologica a chi cerca, anche dentro il perimetro sempre più angusto della legalità, di far sopravvivere qualche barlume di umanità e di buon senso, è ormai manifesto. Nel mezzo, tra una fake e l’altra, si rafforza il daspo urbano contro gli attivisti sociali, si prevedono anni di carcere per chi occupa case e si procura un tetto, anni di galera per chi partecipa ed organizza picchetti, blocchi stradali, ferroviari. E non è più, solo, una guerra di distrazione di massa, ma il disegno cinico e a media scadenza di un’alleanza elettorale che è riuscita far tornare i poveri una classe socialmente pericolosa, da incarcerare, e da controllare. Il razzismo diffuso serve a far credere che è il colore della pelle, la religione, i modi di vivere e la propria cultura che dividono le persone, ma niente è più falso: non è per il colore della pelle, ma per la propria condizione sociale.
L’Italia così com’è oggi, di destra e fascista, sempre più povera, ignorante, incapace di cogliere il nesso che esiste, sempre più palese, tra le scelte propagandistiche e autoritarie del governo attuale e le ricadute sociali che già si percepiscono, l’Italia che rincorre il nazionalismo, sinonimo di impotenza e di ignoranza, è il paese capace di credere che prevedere la detenzione per i mendicanti, eliminare la protezione umanitaria, solitamente concessa a chi scappa da situazioni di catastrofi naturali, discriminazioni, estrema povertà e violenze subite da molte donne, ci renda tutti e tutte più sicure. E incapace di svelare l’assoluta pochezza di questo governo su tutto quanto non sia pura propaganda.
E la sicurezza sulla salute?
Ad esempio, tra gennaio e ottobre 2018 l’Inail ha registrato 945 morti sul lavoro. Quasi il 10% in più dei primi 10 mesi del 2017. Senza poi parlare delle 534.605 denunce complessive di infortunio anche qui, sempre in crescita. Eppure, annunciando l’insediamento dell’ennesimo «Comitato per l’indirizzo e la valutazione delle politiche attive e per il coordinamento nazionale delle attività di vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro» la ministra Grillo sembra preoccupata soprattutto delle aggressioni subite dal personale medico, peraltro capro espiatorio di una sanità pubblica allo stremo. Unica nota in merito pervenuta in un anno sull’argomento dal governo, comunque. Però, tra una foto del premier con il caschetto e una con un panino, il contributo del decreto sicurezza è quello di rendere i lavoratori ancora più ricattabili di fronte a una macelleria di carne umana utile al profitto di costruttori e imprenditori, che risparmiano e guadagnano sulla vita delle persone. E ancora non si capisce chi dovrà ricostruire il ponte di Genova….
Altro esempio: nel 2017 sono state segnalate 3.443 nuove diagnosi di infezioni da HIV: come attività di prevenzione si illumina il pirellone a milano, ma non solo il governo boccia la proposta di legge destinata alla distribuzione gratuita di preservativi alla popolazione sotto i 26 anni, ma fa una squallida operazione di disinformazione accusando gli stracci di quattro disperati salvati dal mare di poter trasmettere il contagio, una bufala che si aggiunge agli innumerevoli pregiudizi volti a creare stigma sociale, invece che una sana politica di prevenzione, unica risposta contro HIV e AIDS.
Di fronte a un aumento del femminicidio e delle violenze sulle donne si chiudono e si sfrattano i centri antiviolenza, si fa propaganda razzista e si blatera di diritti dei padri a poter vedere i figli quando vogliono (ovviamente, solo da separati: prima si aboliscono i congedi parentali a loro concessi).
Nel frattempo, non una sola misura reale di sostegno al reddito, al lavoro, ma i soliti pacchi fatti di condoni, edilizi e fiscali.
Perché, se questo decreto garantisce una sicurezza, è la sicurezza dello sfruttamento, nel creare masse di clandestini ancora più ricattabili, negando ai movimenti sociali di poter agire per esigere una vita migliore. La sicurezza di poter discriminare e sottrarre alle donne e soggettività LGBT i piccoli spazi di diritto all’esistenza duramente conquistati negli ultimi anni.
Re-agire uniti
Ma se il Ministro con il suo decreto repressione mette assieme diverse lotte e questioni che negli ultimi anni la sinistra (quella vera, che si trova tra le strade e i quartieri, non quella del parlamento) ha combattuto separatamente, a maggior ragione bisogna impegnarsi per unire il disperso, organizzare il disorganizzato, ritrovare la spinta per massificare la ribellione e realizzare la costruzione di un’alternativa sociale e politica reale, solidale, giusta.
Ce n’è per tutte e tutti noi.
Per chi fa sindacato: (sia pure nelle diverse declinazioni) mantenere la bussola almeno nella difesa antirazzista e antifascista, che costruisca nei posti di lavoro un argine al razzismo e al fascismo dilagante, che difenda l’agibilità delle lotte sostenendo con solidarietà gli attacchi padronali anche al di là delle sigle di appartenenza, per riconquistar reddito, garanzie, sicurezza.
Per chi fa parte della società civile: non solo cercare di tamponare il disastro umanitario che sta per riversarsi nelle nostre disgraziate periferie, ma continuare ad alzare la voce pretendendo il rispetto dei diritti fondamentali, per ricostruire un fronte anche morale di resistenza.
Per gli operatori sociali e sanitari: opporsi alle misure discriminatorie e agire, in coscienza, di conseguenza.
Per tutti i militanti e gli attivisti di classe, libertari e solidali: dobbiamo essere capaci di costruire e ricostruire momenti di lotta ma anche strumenti di mutualismo e di solidarietà che ci mettano in grado di difenderci dalle miserie morali e materiali della distopia in cui ci stanno imprigionando. Senza temere le contraddizioni di classe, rimboccarsi le maniche e lavorare non solo per compattare l’opposizione sociale ma sopratutto per massificare tale opposizione, rompendo l’isolamento e l’accerchiamento che la sinistra soffre, in parte per l’azione del nemico ma in parte anche per una tendenza a chiudersi nei propri punti di riferimento. Trasformare la società esige anche spogliarsi dai pregiudizi e riuscire ad affrontarli, a tradurre le nostre analisi in prassi e discorsi condivisi, a disputare con efficacia il consenso coinvolgendo anche persone fino ad ora mai organizzate, che non si sono mai occupate di politica. In poche parole quindi, costruire la coscienza di classe,Perchè anticapitalisti e antifascisti non si nasce, si diventa.
Le macerie materiali, e morali, non ci spaventino, siamo noi classe lavoratrice che abbiamo costruito e facciamo funzionare le macchine di questo mondo, e anche di questo paese. Dobbiamo proteggere il mondo nuovo che portiamo nei nostri cuori, il mondo in cui razzisti, fascisti e padroni non abbiano spazio, in cui la solidarietà e il mutuo aiuto siano la risposta alla povertà e all’esclusione. Un mondo che cresca ad ogni istante, che si affermi e realizzi all’interno dell’autogestione delle lotte che prepara l’autogestione della società.