La globale crisi economico-finanziaria, giunta ormai al suo sesto anno consecutivo plasma e modella le elezioni europee e di rimando gli scenari nazionali.
Sul 25 maggio si sono concentrate e scaricate le tensioni, le aspirazioni e le barbarie che in ogni paese della UE sono state alimentate dai processi economici in corso. Così, le misure anti-proletarie di austerity (dal nodo scorsoio dei piani di salvataggio fino ai recenti fiscal compact e pareggio di bilancio) -appena mitigate dalla tardiva azione della BCE (taglio dei tassi, iniezioni di liquidità)- hanno dettato le campagne elettorali di partiti e movimenti euro-popolari ed euro-populisti, euro-post/socialdemocratici ed euro-neoriformisti, euro-scettici ed euro-nazisti, tutti alla ricerca di un posto al sole nel parlamento europeo, ancorchè vittime, consapevoli o meno, di un clamoroso equivoco.
Non è il parlamento europeo infatti a decidere le politiche economiche della UE, ma organismi quali la Commissione ed il Consiglio. La UE non funziona infatti come entità sovranazionale, ma come entità intergovernativa. Per cui, curiosamente, più che i seggi a Bruxelles, contano le coalizioni che -in ogni stato della UE- governano quel poco che il capitalismo globale ha lasciato nelle mani delle singole nazioni.
La bagarre si è dunque scatenata all’interno dei singoli stati con gli esiti che sono sotto gli occhi di tutti e che indicano direzioni obbligate all’interno delle compatibilità capitalistiche.
L’affermazione del PD in Italia, giunta alla fine di un quinquennio di faticosi aggiustamenti nel progetto originario, ne è la conferma eclatante.
Se possiamo accogliere con qualche sospiro la mancata affermazione di una destra europea razzista, omofoba e neo-nazista, restiamo convinti che attualmente non saranno gli eletti nelle liste di Tsipras ad essere una spina nel fianco di Renzi, del PPE o del PSE, ma esattamente il contrario.
Va da sè che la democrazia rappresentativa, quale forma politica del capitalismo, non cessa di esercitare quell’attrazione fatale a cui non si sottraggono nemmeno i più acerrimi nemici dell’euro o i più duri contestatori delle politiche economiche subordinate alla dittatura del debito.
In questa situazione di grave attacco alle condizioni di vita dei lavoratori europei, si è dovuta registrare l’assenza e impraticabilità di un movimento europeo di opposizione dal basso, proletario e unito da interessi comuni anticapitalisti, con radici nei luoghi di lavoro e nei territori, in grado di esprimere propria rappresentanza al di fuori delle gabbie istituzionali.
Nostro compito era e rimane proprio questo: ricomporre le forze di opposizione: sia quelle sociali, conflittuali, ed anticapitalistiche quanto quelle politiche, a tendenza e vocazione comunista e libertaria.
Ooccore costruire in Europa e nei singoli Stati la possibilità di lottare per un’alternativa concreta e praticabile al dominio delle politiche di sfruttamento ed impoverimento delle classi lavoratrici, un’alternativa concreta alla politiche di arruolamento nella dimensione delle compatibilità europee.
Sia le reti anarchiche esistenti che le reti del sindacalismo conflittuale, rivoluzionario ed anarcosindacalista sono chiamate ad un impegno organizzativo e politico che sapppia trasformare astensionismo e radicalismo in un progetto rivoluzionario sociale globale per cambiare questa dimensione europea a somiglianza del capitalismo globale in uno spazio sociale europeo di solidarietà e di alternativa sociale che abbatta le disuguaglianze e le discriminazioni e promuova l’autogestione delle risorse e delle comunità federate.
Maggio 2014
Federazione dei Comunisti Anarchici