In barba a tutti i referendum anti-privatizzazioni, nella commissione bilancio del Senato è stato votato un emendamento presentato dalla senatrice di Scelta Civica, Lanzillotta, riguardante il decreto “Salva-Roma”.
Questa modifica vincola le risorse per finanziare il bilancio di Roma alla privatizzazione, tranne che dell’ACEA, delle altre aziende pubbliche e alla possibilità di licenziamento per quelle in perdita.
Ora non sappiamo quale sarà l’esito finale dei passaggi parlamentari, ma purtroppo chi grida o griderà allo scandalo o è in mala fede oppure non si rende conto della poca consistenza dell’istituzione referendaria nella democrazia capitalista. Se infatti i quesiti referendari non sono sostenuti da una reale forza di opposizione nei territori che pratichi l’azione diretta a sostegno degli stessi, gli speculatori capitalisti non perderanno tempo a riconquistare quel terreno solo formalmente perso con i risultati dell’ultimo referendum.Specialmente in un periodo come questo dove, a causa delle ridotte possibilità di profitto, gli speculatori rivolgono le loro fameliche fauci capitaliste nei confronti dei beni comuni e delle risorse collettive.
Questa vicenda dimostra ancora una volta che per avere dei servizi pubblici efficienti e inattaccabili dagli speculatori c’è bisogno del controllo diretto degli organismi territoriali dei lavoratori e delle lavoratrici. La gestione pubblica, così come concepita dagli enti statali centrali e territoriali, non è sufficiente a garantire che le risorse collettive non cadano nelle mani del mercato capitalista, così come, d’altra parte, non è sufficiente a garantire che le aziende pubbliche non diventino terreno di pascolo della corruzione legata al mantenimento del potere dei partiti borghesi, così come non è sufficiente a impedire il connubio tra enti pubblici e imprese private nel perverso gioco delle tangenti legate alla sussidiarietà.
Questa vicenda dimostra ancora una volta, inoltre, che a difendere gli interessi immediati delle classi subalterne non possiamo delegare lo Stato e le sue diramazioni territoriali, così come non possiamo affidarci alla democrazia come la conosciamo, sia quella rappresentativa sia quella della pratica referendaria se non supportata dalla nostra azione diretta nei territori, che deve passare attraverso la nascita di forme organizzative orizzontali che esercitino un controllo e sviluppino vertenzialità con enti e gestori per smascherarne sprechi burocratici e metterne in evidenza la lontananza dalle esigenze reali delle classi sfruttate.
Solo il controllo diretto degli organismi territoriali dei produttori può impedire fenomeni come la “parentopoli” dell’ATAC; solo il controllo diretto dei lavoratori e delle lavoratrici può impedire spese inutili come quelle legate ad un numero spropositato del parco dirigenziale; solo il controllo diretto dei produttori può garantire una gestione razionale, socialmente ed ecologicamente etica delle risorse collettive.
21 Dicembre 2013
Federazione dei Comunisti Anarchici
Sez. di Roma – Luigi Fabbri