Il protocollo del 31 maggio blinda le relazioni sindacali

Comunicato Commissione Sindacale dell’FdCA

 Attivo sindacale FdCA

Reggio Emilia,  9 giugno 2013

Il Protocollo del 31 maggio  blinda le relazioni sindacali

Il sindacato deve tornare in mano ai  lavoratori!

Siamo completamente immersi in una dimensione  politica ormai affermata che sancisce i limiti della democrazia e che mette  l’accumulazione al posto di comando in una cornice di potere politico fortemente  gerarchizzato ed autoritario. Quanto vi è stato nel passato – il compromesso  sociale sgretolatosi negli ultimi vent’anni – non è più ricomponibile e  praticabile, vista la mutata condizione della classe e la sua scomposizione  sotto gli attacchi della borghesia. La quale ha riaffermato la propria egemonia  attraverso l’uso indiscriminato delle risorse pubbliche, convogliando la  ricchezza prodotta nelle mani di pochi, a determinare il potere reale. A questo  proposito è emblematico ricordare come Draghi si sia espresso con grande  disinvoltura, in merito alla crisi politica scaturita dalle ultime elezioni,  affermando che comunque la governance era garantita dal “pilota automatico”  inserito dalla BCE. Questo dovrebbe bastare a comprendere che il capitale sente  di aver ormai chiuso ogni spazio di autonomia politica e che, di fronte al  problema del reperimento delle risorse economiche per pensioni, scuola pubblica,  ricerca, enti locali, sanità pubblica, assistenza e interventi per chi non ha  lavoro o lo ha perduto, possa limitarsi a presentare la contabilità economica  dicendo che soldi non ce ne sono.

In ambito sindacale, tale situazione era già  divenuta drammaticamente chiara con la firma degli accordi del 28 giugno 2011 e  con le catastrofiche conseguenze da essi prodotte. Il Protocollo del 31 maggio  si presenta come il passo successivo nella direzione della blindatura delle  relazioni sindacali sul tema della rappresentanza. È allo stesso tempo  l’ennesimo schiaffo ai lavoratori e ai loro diritti (negati) e un bagno di  realismo per tutte quelle organizzazioni sindacali che si erano sviluppate in un  contesto legislativo meno vincolante. Questo accordo sancisce infatti la fine  dell’anomalia italiana nel panorama sindacale mondiale. La parziale applicazione  dell’art. 39 della Costituzione aveva prodotto negli anni un sistema  contrattuale aperto, aspetto che ha favorito la nascita di correnti sindacali  autonome e critiche che, in Italia più che in altri paesi, ha caratterizzato il  panorama sindacale in quanto a vivacità e lotte. Il Protocollo del 31 maggio  mette fine a questa tradizione ed avvicina il sindacalismo italiano al rigido  schematismo dei sindacati nordeuropei, dove divieti ed esigibilità dei contratti  sono normati da leggi dello Stato ormai da molti decenni.

Gli aspetti positivi di questo accordo, reali o  potenziali che siano, rispetto a quello del 28 giugno 2011, comunque non bastano  a rendere meno fosco il futuro della classe lavoratrice in Italia. Il fatto  stesso che venga sancita l’obbligatorietà del sottoporre a consultazione delle  ipotesi di CCNL rappresenta l’affermazione – per ora formale – di un  fondamentale contenuto democratico. Allo stesso modo, il principio secondo cui  la validazione di una piattaforma categoriale debba passare attraverso la sua  sottoscrizione da parte del 50% + 1 dei soggetti deputati a trattare può  rappresentare un’importante inversione di tendenza, rispetto a quanto stabilito  ormai due anni fa, nella direzione della fine degli accordi separati. Da ultimo,  la scelta del meccanismo proporzionale per l’elezione delle RSU cala il sipario  – si spera definitivamente – sull’attuale riserva di 1/3 a favore dei  sottoscrittori dell’accordo.

Sull’altro piatto della bilancia si colloca però  un drastico irrigidimento dei meccanismi di funzionamento della democrazia  sindacale e la totale delegittimazione di chi resta fuori dall’accordo. A  pesare, in questo senso, non è tanto il tetto del 5% di media semplice fra  iscritti (dato peraltro falsato dal fatto che la certificazione dell’INPS  esclude tutte le organizzazioni sindacali non firmatarie di CCNL applicati in  azienda) e voti espressi, che pone tutti i soggetti in causa di fronte ad una  inevitabile riflessione sul proprio grado di rappresentatività della classe  lavoratrice, ma piuttosto l’argine preventivo che questo accordo pone rispetto a  qualsiasi forma di auto-organizzazione dei lavoratori e il ricatto del “firma o  scompari” insito nell’aut-aut imposto dal patto fra Confindustria e le  Segreterie Nazionali di CGIL, CISL e UIL. La definizione nei vari accordi di  categoria delle procedure di raffreddamento e di certificazione dei contratti,  la sostituzione d’ufficio della RSU che cambi sigla sindacale aumenta la  frammentazione dei lavoratori e potenzia ulteriormente il ruolo delle burocrazie  sindacali. Tutto l’impianto dell’accordo affossa definitivamente l’idea stessa  di autonomia sindacale sancendo la subordinazione sindacale al consorzio dei  produttori.

A danzare sulle note di questa marcia funebre per  la classe lavoratrice sono per l’ennesima volta i padroni, oggi sotto la nuova  guida Squinzi, che con questa mossa forse potranno riuscire a riguadagnare FIAT  al campo confindustriale. I gruppi dirigenti dei sindacati confederali si  ritagliano orgogliosamente un posticino nell’orchestra che assicura la  continuità delle danze. Nell’allegra combriccola un posto viene lasciato anche  alla Segreteria CGIL, che non può rimanere seduta in un angolo quando alla guida  del Governo c’è un politico del PD. La “mutazione genetica” che la linea  camussiana ha imposto in Corso D’Italia, quella secondo cui la funzione del  sindacato coincide con la mediazione fra imprese e forza-lavoro, trova così il  suo compimento. Un sindacato del genere, al quale ormai risulta aliena ogni  preoccupazione per la tutela degli interessi dei lavoratori, non può cercare  legittimazione altra se non quella della controparte, il padronato, e del suo  garante, lo Stato. E visto che possono essere molti i soggetti che ambiscono ad  esercitare questa funzione – soprattutto perché la torta da spartire, come nel  caso degli enti bilaterali, è ghiotta – la priorità è oggi quella di recintare  lo spazio di agibilità per altri soggetti, di giocarsela “a numero chiuso”, o  almeno di rendere difficile la vita ad ogni ipotesi alternativa.

Il pericolo principale, in questa situazione, è  che l’ingessatura provocata da accordi come quello del 31 maggio abbia l’effetto  di deprimere le forze che fino ad oggi si sono coraggiosamente opposte  all’ordine sancito a colpi di diktat padronali. Occorre compattare il fronte del  dissenso, ricostruire forme di democrazia e di organizzazione nei posti di  lavoro affinché la validazione dei CCNL non diventi pura e semplice  ratificazione della volontà padronale entro l’artificioso orizzonte del “patto  fra produttori”. Ma occorre anche comprendere che non sono le norme a sancire il  conflitto, ma i rapporti di forza messi in campo. Solo l’affermarsi di  condizioni storiche oggettive, sulle quali si innesti la ripresa di una forte  soggettività politica della classe lavoratrice, può permettere ad essa di  rivendicare la titolarità del sindacato e creare le condizioni per il  conseguente sviluppo del conflitto sociale.

Il sindacato deve tornare in mano ai  lavoratori!

Commissione Sindacale Federazione dei Comunisti Anarchici
9 giugno 2013   

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