ALTERNATIVA LIBERTARIA Novembre 2015
In questo numero:
Per una vita senza tornelli
Devastazione e saccheggio
Una tragedia operaia
Utopia, scuola libera a Genova
ALTERNATIVA LIBERTARIA Novembre 2015
In questo numero:
Per una vita senza tornelli
Devastazione e saccheggio
Una tragedia operaia
Utopia, scuola libera a Genova
Cento anni fa, il 19 novembre del 1915 moriva per fucilazione Joe Hill.
Joe era di origine svedese. Emigrò negli Stati Uniti nel 1902. Nel 1906 faceva il portuale a San Pedro in California e qui aderì agli Industrial Workers of the World, universalmente noti ancora oggi come IWW.
L’IWW era un sindacato rivoluzionario simile ad altri sindacati suoi contemporanei nel mondo, come l’Unione Sindacale Italiana e la Confédération Generale du Travail in Francia, che organizzavano centinaia di migliaia di lavoratori.
Come sindacalista rivoluzionario, Joe Hill partecipò alla Rivoluzione Messicana del 1910 ed in Canada allo sciopero dei ferrovieri della linea Fraser River nel 1912 organizzato dall’IWW.
L’ISIS ha massacrato 140 persone inermi a Parigi nella notte di venerdì 13 novembre. Una giornata di preghiera per il mondo musulmano usata invece da Daesh per una strage di civili di ogni nazionalità e religione in luoghi come uno stadio di calcio, una discoteca frequentata da proletari delle periferie parigine, ristoranti e bar all’aperto, come in qualsiasi città.
Un attacco suicida simile si era verificato il 25 giugno a Kobane, nel Kurdistan siriano, con bombe, fucili e sterminio di ostaggi. Lì furono uccisi 223 civili, molti dei quali in seguito all’intrusione nelle case da parte dell’ISIS. Quel giorno morirono anche circa 40 combattenti curdi che cercavano di fermare il massacro.
Il 16 ottobre, altri attentati suicidi dell’ISIS fecero una strage di 102 persone ad Ankara nel corso di una manifestazione turco-curda per la pace. Quella strage, come quella di 33 curdi durante l’assedio di Suruc da parte dell’esercito turco, getta tuttora un’ombra di morte sul ruolo svolto dallo Stato turco e del governo dell’AKP impegnato in una campagna elettorale, poi vinta, per la conquista della maggioranza parlamentare. Tra il massacro di Suruc e quello di Ankara, gli Stati Uniti ebbero il tempo di fare un accordo con la Turchia per l’uso di basi militari, in cambio di “non vedere” gli attacchi aerei turchi sulle forze curde impegnate nei combattimenti contro l’ISIS in Siria ed in Iraq.
Ma i massacri dell’ISIS sono diventati routine. Giovedì 5 novembre un loro attentato aveva ucciso 50 persone a Beirut-sud in un quartiere sciita controllato da Hizbullah. L’ISIS ha rivendicato anche l’abbattimento dell’areo russo caduto nel Sinai. Nel loro Califfato il massacro di musulmani, di yazidi e di cristiani è cosa di tutti i giorni.
Se l’ISIS è certamente un nemico della libertà, non possiamo certamente considerare nostri amici le potenze che sostengono a parole di combattere l’ISIS. Nato dal decennio di disastro politico-militare dell’invasione statunitense dell’Iraq, Daesh è stato messo in grado di impadronirsi di equipaggiamento militare di fabbricazione statunitense per imporre la sua strategia di terrore in tutta l’area fino a quasi distruggere Kobane nel 2014.
L’esercito della Turchia è il secondo esercito nella NATO. Eppure non ha mosso un dito per fermare gli assassini dell’ISIS che attraversavano il confine tra Turchia e Kurdistan siriano per attaccare Kobane e le unità combattenti curde.
Dunque i morti di Parigi, come quelli dell’aereo russo, di Beirut, di Ankara, di Kobane e di Suruc sono le vittime di uno scontro di potere in Iraq e Siria tra le potenze della NATO, la Russia, il regime di Assad, le potenze regionali. Uno scontro che provoca centinaia di migliaia di morti e milioni di profughi lungo un fronte che va dallo Yemen all’Iraq, dalla Siria al Libano, dalla Turchia all’Europa, dalla Libia all’Egitto.
Come mettere fine a tutto questo? Molti vorrebbero gettare benzina sul fuoco, inasprire le misure di sicurezza, gettare più bombe sulla Siria e controllare i movimenti delle persone. Ma questa è la strada che porta ad una guerra senza fine e ad uno stato di polizia in cui sopravvivere nella paura dell’attesa del prossimo attacco. E’ la stessa realtà quotidiana che vive il popolo iracheno fin dai tempi della guerra del 1991. Una situazione che nel corso degli anni si è fatta sempre più sanguinaria e brutale fino a partorire il mostro ISIS in un bagno di sangue che dura da decennni.
Se l’oggettiva situazione militare ci porta a dire che gli unici avversari dell’ISIS sul campo sono le forze iraniane ed Hizbullah insieme alle forze curde, sostenute dall’aviazione russa, come anarchici e libertari riteniamo che l’unica strada per la libertà passa per la solidarietà tra le classi lavoratrici e non attraverso le guerre o gli “scontri di civiltà”.
Bisogna fare delle scelte nei prossimi giorni e nei prossimi mesi, perchè Parigi non sarà l’ultima atrocità a cui assisteremo ed il terrorismo non farà altro che alimentare odio e militarismo.
Certamente i nostri alleati non saranno le forze imperialiste che hanno dato origine a questa situazione, bensì quelle forze regionali che combattono sul campo per una società davvero fondata sulla libertà e sull’uguaglianza.
Alternativa Libertaria/fdca
15 novembre 2015
L’1 novembre la Turchia torna al voto per la seconda volta in pochi mesi.
Con queste elezioni l’AKP, il partito del presidente Erdogan, vuole riconquistare quella maggioranza assoluta persa nelle elezioni precedenti, a causa del successo dell’HDP, il partito curdo che aveva superato lo sbarramento del 10%.
La campagna elettorale si è svolta in un clima di terrore.
Dopo gli attacchi omicidi ad Amed (Diyarbakir) e Suruç nei mesi di giugno e luglio, dopo i massacri compiuti dall’esercito turco nelle zone curde come a Cizre, il 10 ottobre un triplo attentato ha colpito al cuore la manifestazione del “blocco della Pace” ad Ankara, provocando più di 125 morti e centinaia di feriti. Continua a leggere
La firma del TPP (Trans-Pacific Partnership) tra USA, Giappone ed altri 10 stati dell’area (esclusa la Cina), avvenuta lo scorso 5 ottobre centra uno degli attuali obiettivi della politica internazionale degli USA in tema di integrazione e libertà commerciale a livello planetario.
Il secondo obiettivo dell’entusiasta Obama è la firma del TTIP (Transatlantic Trade & Investment Partnership) con l’Unione Europea per abbattere ogni barriera tariffaria e regolamentare che possa ostacolare la libertà di movimento delle merci e degli investimenti, travolgendo qualsiasi legislazione a tutela di beni comuni (risorse naturali) ed attività di carattere ambientale, agricolo, sanitario, energetico, sociale (trasporti, comunicazioni, formazione),…. Continua a leggere
DA SETTEMBRE LOTTARE CONTRO TUTTO QUESTO
ISTITUTO PER ISTITUTO
PER RIAFFERMARE UNA SCUOLA PUBBLICA, LAICA,
PLURALISTA E PARTECIPATIVA
Con l’approvazione alla Camera della legge sulla scuola si è chiusa la prima fase dell’ennesimo ciclo di ristrutturazione capitalistica della scuolaitaliana.
In un lungo ventennio, costellato di provvedimenti emanati da diversi governi e diversi parlamenti, si è proceduto a tappe progressive allo smantellamento della scuola pubblica.
Tutto il settore della formazione è stato costantemente ridefinito quale fattore di accumulazione del capitale e ricondotto alla sua funzione essenziale di funzionamento dello stesso processo produttivo: tagli alla spesa, riduzione degli organici, riduzione dell’offerta formativa, competitività, gerachicizzazione, consolidamento di interessi particolari hanno caratterizzato 20 anni di rottamazione della scuola della Repubblica a favore di un’offerta formativa comprendente scuole private e religiose.
La formazione è divenuta un nuovo settore d’investimento suscettibile di produrre profitto sul piano economico per le imprese (preparazione e formazione funzionale al mercato = disponibilità di spesa per conseguirla) e al tempo stesso laboratorio di sperimentazione dei criteri di differenziazione sociale.
Questo è il contesto storico in cui si inserisce questa fase, gestita dal governo Renzi.
Assunzioni unilaterali fatte ad offerta variabile piegando graduatorie pubbliche alla ragione dei numeri, ridefinizione della gerarchia interna con attribuzione al dirigente scolastico di poteri da caporale manager (già cresciuti nel corso di 20 anni a scapito delle rappresentanze sindacali e degli organi collegiali, ma ora sanciti per legge), introduzione di procedure per il riconoscimento del merito individuale, riduzione del Collegio dei Docenti a mera assemblea da alza-la-mano-zitto-ed-approva, subordinazione della libertà di insegnamento ai piani triennali di offerta formativa che poi mettono in competizione le scuole, alternanza scuola-lavoro (gratuito), bonus, sono tutti elementi che aziendalizzano la scuola e ne fanno un segmento della produzione capitalistica, distruggendone la ragione di istituzione pubblica ed il ruolo di comunità educante con gestione collegiale e partecipativa.
Siamo giunti alla fine del processo?
Ancora no. Mancano i decreti delegati – previsti dall’attuale legge- che avocheranno al governo la definizione di orari di lavoro, organizzazione del lavoro e retribuzioni. Il che significherebbe la fine della contrattazione collettiva e l’espulsione -di fatto- del sindacato dal mondo della scuola. Così come è successo con il Jobs Act nell’industria e così come è previsto che accada nel Pubblico Impiego (altro ddl in Parlamento).
Inoltre sulla lunga scadenza l’aziendalizzazione, come dimostra ad esempio la sanità, non ha portato vantaggi per l’utenza in termini di gestione del diritto alla salute, ma solo un maggior controllo della parte politica nella nomina dei dirigenti e sull’affare sanità.
E pur in condizioni oggettive molto ostili (gran parte dei mass-media, parte del mondo intellettuale, false opposizioni parlamentari e strumentalizzatori vari), i lavoratori e le lavoratrici della scuola hanno reagito in maniera veemente, auto-organizzandosi in comitati e coordinamenti trasversali, costringendo le organizzazioni sindacali maggioritarie nel settore ad impegnarsi senza infingimenti e restituendo ai sindacati di base un costante ruolo di sostegno al movimento, tramite innumerevoli manifestazioni, presidi, veglie, scioperi nazionali e degli scrutini, con adesioni straordinarie.
Ma non è bastato a bloccare o a scardinare il ddl–scuola nelle sedi parlamentari.
Ora si apre la seconda fase di questo ciclo di ristrutturazione capitalistica della scuola, che prevede l’implementazione dei provvedimenti legislativi tra 2015 e 2016.
Il mese di settembre si aprirà con altre mobilitazioni e dimostrazioni di conflittualità tanto giuridico-legale quanto di piazza.
Tuttavia, la prova più difficile sarà quella di portare il conflitto dentro le scuole, organizzando una resistenza culturale e sindacale, individuale e collettiva, gestionale e professionale, che sia in grado di inceppare il primo livello gerarchico di controllo e di implementazione della legge: quello degli organi collegiali totalmente nelle mani dei dirigenti scolastici, che, loro malgrado o loro buongrado, si collocano ora definitivamente a livello di controparte. E come tali andranno affrontati con competenza ed unità nell’opposizione a delibere di applicazione della legge approvata (piano triennale, comitato di valutazione, accesso al merito, autovalutazione di istituto, prove INVALSI….).
Occorrerà ricostruire scuola per scuola l’unità dei mesi scorsi, ri-alimentare fiducia e fermezza nella consapevolezza che questa legge si potrà rendere inapplicabile solo con un’opposizione istituto per istituto.
Sarà necessario allargare a famiglie e studenti le ragioni di tale opposizione (comitati locali specifici, in particolare per il ruolo da assumere nei consigli di istituto e nel comitato di valutazione), sarà necessario costruire comitati di base dei lavoratori e delle lavoratrici che diano forza alle rsu di istituto, sarà necessario richiamare le organizzazioni sindacali a mettere unitariamente a disposizione di questo livello di lotta tutta la loro capacità di mobilitazione e di sostegno ai lavoratori di fronte anche a possibili minacce ed iniziative di carattere repressivo e punitivo.
Sarà necessario contrapporre al decalogo aziendalista della legge, un decalogo valoriale fondato su principi e pratiche irriducibili ed indisponibili quali la libertà di insegnamento, la scuola come comunità educante, potere collegiale, partecipativo ed antigerarchico sulle decisioni e le delibere, diritto allo studio uguale per tutti ed in ogni scuola, priorità in abbondanza di finanziamenti alla scuola pubblica, mantenimento della contrattazione collettiva a tutti i livelli e su tutte le materie sindacali.
Far implodere questa legge su se stessa sta alla capacità di lotta e di unità dei lavoratori della scuola e delle loro organizzazioni sindacali e professionali.
No pasaran!
Alternativa Libertaria/fdca
luglio 2015
Si ripete lo scenario del gennaio 2015, quando le istituzioni della UE si erano mobilitate contro la possibilità di una vittoria della coalizione Syriza alle elezioni politiche in Grecia.
L’indizione del referendun del 5 luglio ha prima fatto infuriare e poi costretto al silenzio i vertici della UE. Benchè queste chiamate alle urne non siano – per il loro carattere interclassista – strumenti in grado di rappresentare gli interessi della classe lavoratrice e degli sfruttati, il referendum greco viene visto con timore. Temendo che l’esito delle urne possa spostare un po’ gli equilibri politici a sfavore degli interessi capitalistici internazionali o dell’UE, può persino accadere che il referendum del 5 luglio diventi un pericoloso momento di partecipazione e di democrazia da scongiurare.
Nella vicenda greca, infatti, con la possibilità che il NO possa vincere, stanno emergendo e si rendono trasparenti i fattori del dominio capitalistico. Il 5 luglio, data del referendum sulle proposte dei creditori della Grecia, potrebbe assumere un’importanza emblematica per i popoli europei sottoposti alla dittatura del mercato finanziario.
Aver chiesto in questi 5 mesi di rinegoziare il debito all’interno delle rigidità finanziarie della UE ha assunto una radicale prospettiva storica, quella di dare un segnale nel fermare il saccheggio delle società del debito da parte del grande capitale. Sono state e sono proposte che hanno aperto contraddizioni nei fattori di dominio del capitale stesso.
Ricontrattare il debito pubblico significa, infatti, rendere palese la grande manovra internazionale della ristrutturazione dei debiti privati, gestiti dal sistema finanziario e industriale e riversati abilmente dalla cricca al potere sui deficit pubblici, impossibili da ridimensionare e per questo strozzati dai calcoli contabili della finanza mondiale.
Per l’UE, dunque, la pur limitata democrazia referendaria può diventare addirittura nemica del processo di ristrutturazione in atto fino ad accusare gli “estremisti” di questa sinistra greca di ribellione alle scelte dei banchieri e della alta finanza, pur di infliggere ad un intero popolo il ricatto del rifinanziamento del debito.
Già alcuni anni fa JP Morgan aveva avvisato l’Europa: le Costituzioni europee nate dalla Resistenza e dal contratto sociale che si era imposto in tanti paesi dell’Europa non erano più tollerabili, perchè ostacolavano nei fatti l’espansione del capitale. Bisognava dunque cercare di impedire agli sfruttati ed ai ceti meno abbienti – quelli che la cosiddetta crisi la devono pagare – di poter rivendicare le loro scelte politiche. Lo si è fatto e lo si sta facendo con due mosse: con la repressione quotidiana in tutta Europa della capacità autonoma di opposizione e delle lotte per la giustizia sociale da un lato e con la disincentivazione alla partecipazione alle scelte politiche dall’altro.
Chi invece va blaterando di uscita dall’euro della Grecia o dell’Italia come se questo fosse un toccasana, si dimostra essere un inquinatore di coscienze, scambia gli effetti con le cause del disastro sociale, non coglie i meccanismi del dominio, fa esattamente il gioco dei poteri forti della UE, come le destre europee che, da quella francese in poi stanno infatti utilizzando la battaglia contro il “diabolico Euro” per riaffermare un dominio di classe interno ai propri confini.
La vicenda greca mette in evidenza anche il mutamento di rapporto tra democrazia, rappresentanza e costruzione di alternativa politica che si è alimentato di una certa partecipazione diretta dei protagonisti. I durissimi anni di lotte e di opposizione sociale alle politiche della BCE e del fondo salva-stati in Grecia hanno determinato posizioni chiare sulle lotte e sulle loro risultanti politiche: la celebrazione del referendum greco ne diventa un passaggio decisivo.
L’attacco al proletariato greco oggi è infatti un attacco alle condizioni di vita di milioni di persone che non necessariamente sono rinchiuse nei confini dello Stato di Atene.
Un tempo si diceva che se con le democrazie parlamentari si fosse cambiato il mondo queste sarebbero state abolite, ebbene oggi il dominio della finanza internazionale non abolirà il simulacro della democrazia parlamentare, ma non permetterà che attraverso di essa si possano organizzare forze della sinistra solidale e di classe.
Il ricatto del rifinanziamento del debito oggi si è sostituito allegramente al colpo di Stato militare e fascista di alcuni decenni fa.
Quando la BCE decide di rifiutare i titoli di stato greci come collaterali a garanzia di prestiti alle banche greche, (nonostante la “generosa” erogazione di liquidità di emergenza di questi giorni), prima ancora di avere un segno economico, questa decisione ha un segno nettamente politico.
Non siamo più, infatti, nel 2011-12, quando pur di tenere la Grecia dentro la moneta unica, Germania, Finlandia ed Olanda acconsentirono al doppio salvataggio da lacrime&sangue (il famigerato memorandum della troika da €264 mld) della Grecia, appropriandosi dell’80% del debito greco.
Dopo gli interventi della BCE, soprattutto col recentissimo QE, la situazione economica dell’UE è mutata, per cui più che lo stato debitorio della Grecia (su cui la partita è ancora aperta), a preoccupare tanto i cosiddetti falchi, quanto i governi di centro-destra di Spagna e Portogallo, sarebbe un effetto contagio della vittoria del NO in Grecia all’interno dei singoli Stati (vedi l’affermazione di Podemos in Spagna, le posizioni di Die Linke in Germania,…).
La propaganda a favore del SI’ intende impedire che una vittoria del NO al referendum possa alimentare speranze e instabilità negli altri paesi oppressi dalle politiche di austerity. Ma ulteriore ostinazione da parte delle istituzioni della UE condannerebbe l’Europa ad un decennio di impoverimento che alimenterebbe forze populiste e di estrema destra anti-euro, ma sempre pro-austerity e fortemente anti-proletarie.
La partita nei palazzi del potere europeo è ancora aperta, ma potrebbe diventare più decisiva se entrassero in gioco i movimenti sociali che in tutta Europa si battono contro le politiche di austerity, contro il sacco del territorio, contro la distruzione dei diritti dei lavoratori, contro il razzismo.
Per costruire un’Europa solidale delle classe lavoratrici, occorre una mobilitazione su scala continentale delle forze anticapitaliste, che utilizzi la contraddizione che si aprirebbe in seno all’UE, dopo una vittoria del NO al referendum greco.
Non si tratta di trovare un Tzipras o fare una Syriza in ogni altro paese o di andare a scuola da Iglesias in Spagna per tentare avventure elettorali e parlamentari che non hanno portato mai niente di buono alle classi lavoratrici. Si tratta piuttosto di cogliere l’opportunità e l’utilità di una crepa, di uno spazio politico e sociale che potrebbe aprirsi nel monolite del fiscal compact e dell’economia del debito, per rilanciare le difficili lotte sindacali ed ampliare e sostenere le lotte urbane in tutta Europa, al fine di ricostruire la coscienza di classe necessaria ad una rottura democratica. Una rottura democratica e libertaria di netto segno anticapitalista. che non passi per le scorciatoie elettorali ma per la costruzione di un conflitto sociale diffuso e reticolare, sistematico e costante, in grado di esprimere crescente radicalità dal basso, indirizzata verso la riappropriazione e l’autogestione di risorse comuni, patrimoniali e ambientali, culturali ed economiche, nei territori dell’Europa ed in ogni paese.
A noi spetta il costante impegno quotidiano delle nostre organizzazioni politiche, comuniste anarchiche e libertarie, dentro la realtà di tutti i giorni, anche quando questa sembra allontanarsi dai nostri obiettivi strategici.
Il 5 luglio OXI, per le classi lavoratrici di Grecia e tutta Europa.
Alternativa Libertaria/fdca
4 luglio 2015
L’occupazione della Kazova e’ uno sei simboli delle proteste di Gezi Park. La Özgür Kazova (Kazova Libera) sta lottando per sopravvivere, e trasformarsi in una nuova esperienza di lavoro autonomo e insubordinato, economia solidale, e riformulazione dei rapporti di produzione e vendita in un settore – quello tessile – che, essendo il cuore dell’economia turca, e’ anche al centro del sistema di sfruttamento e di concentrazione di capitali e repressione.
Originariamente la Kazova era stata, per più’ di sessant’anni, una fabbrica di maglioni di lusso in lana vergine e cotone . Ogni giorno vi si producevano più’ di mille maglioni da vendere a una media di 150 euro l’uno, da operai che venivano pagati al mese fra i 400 e i 450 euro.
Quando nella primavera 2013 il padrone ha deciso di chiudere la fabbrica senza preoccuparsi troppo della sorte dei propri lavoratori, gli operai hanno fatto quello che tutti vorremmo avere il coraggio di fare: si sono ribellati insieme. Alcuni erano entrati in fabbrica a 15-16 anni e avevano passato una vita a filare per dodici ore al giorno; alcuni non avevano mai avuto nessun tipo di esperienza o interesse politico; alcuni sono diventati amici inseparabili durante la resistenza. Dopo mesi di picchettaggi, tende davanti alla fabbrica per impedire al padrone di portarsi via le macchine filatrici, repressione della polizia, feste solidali e concerti in strada con i forum nati dall’occupazione di Gezi Park, appelli e mediazioni, alla fine un gruppo di operai ha fatto irruzione dentro la fabbrica, sfondando le porte e riappropriandosi di alcune delle macchine.
Dopo due anni di vicissitudini, riparazione delle macchine, incertezze e soprattutto l’impossibilita’ di sbarcare il lunario e sfamare la famiglia per ben due anni, alcuni degli operai resistono ancora. Hanno riparato le macchine occupate, aperto un nuovo fondo, e con l’aiuto di amici di quartiere e attivisti dei forum e delle case occupate (chi aiuta a cucire, chi a riorganizzare la fabbrica, chi a trovare fornitori, chi con i modelli) hanno riavviato la produzione mentre si aspetta di scoprire la sorte dei macchinari. Si discute con chiunque voglia prender parte alle riunioni, si coinvolgono le fabbriche intorno, si cercano sistemi per rendere aperti i processi economici (per esempio, con l’introduzione di un sistema di accounting accessibile on-line da tutti, che sarebbe il prossimo passo), si instaurano rapporti con le fabbriche occupate e le cooperative dal basso all’estero, si confrontano le esperienze.
La nuova fabbrica, un po’ improvvisata e caotica, si può’ vedere qui:
E’ stato uno sforzo incredibile ma se dovesse funzionare, il messaggio per milioni di lavoratori del tessile in Turchia sarebbe sovversivo – che ribellarsi insieme conviene più’ che farsi sfruttare. Anche quando a farlo e’ chi viene dai quartieri più’ poveri di Istanbul, ha tre figli e una famiglia senza introiti da due anni, e nessuna esperienza di autogestione.
Grazie del supporto, e viva il lavoro libero!
Se desideri sostenere la Kazova acquistando i loro maglioni, contattaci al nostro indirizzo mail: FdCA-Cremonese@tracciabi.li
Video sottotitolato : https://vimeo.com/119827187
Articolo su “Il Manifesto” del 5 giugno 2015: Il sogno realizzato degli operai, una cooperativa del tessile a Istanbul
Radio-intervista : http://www.radiocora.it/post?pst=6253&cat=podcast
ALTERNATIVA LIBERTARIA/Fdca
90° Consiglio dei Delegati
Correggio, 17 maggio 2015
Casa Spartaco
Contrastare le tendenze alla concentrazione del potere economico e del potere politico
I processi di concentrazione del potere economico e del potere politico si sono dispiegati a livello europeo ed ora italiano con un’incidenza sempre più ampia ed acuta sulle condizioni sociali di milioni di lavoratori salariati e di lavoratori interinali, sottopagati e desindacalizzati.
Ben presto (giugno), alle autocratiche istituzioni europee garanti della crisi di ristrutturazione capitalistica in atto verrà messo a disposizione un programma di controllo dell’economia noto come Capital Market Union. Si tratta della costruzione di un mercato unico dei flussi finanziari, in cui non sono più previste barriere che blocchino gli investimenti transnazionali all’interno dell’eurozona. Si avvia a compimento il passaggio da un capitalismo a base prevalentemente nazionale a un capitalismo mondializzato o transnazionale, fortemente integrato soprattutto a livello europeo e euro-statunitense. I processi di integrazione europea sono del tutto funzionali a questa trasformazione che è in atto ormai da quasi 40 anni con la progressiva centralizzazione dei capitali, palesemente vincente sulla difesa delle prerogative dello stato nazionale, a ratifica di quanto sta già avvenendo a livello produttivo.
Anche la struttura economica italiana è in fase avanzata di trasformazione, sollecitata dalla forte internazionalizzazione, dall’affermazione dei mercati finanziari e delle borse e dalla crisi. La ricerca e l’approvvigionamento di capitali da parte delle imprese avverrà sempre di più mediante la borsa e quindi attraverso i mercati finanziari internazionali. Il governo Renzi si appresta dunque ad emanare una serie di riforme normative, che permettano al sistema finanziario italiano di operare nelle stesse condizioni degli altri Paesi, ad esempio incrementando l’investimento dei fondi pensione e del risparmio degli italiani in borsa. In questo modo, il governo Renzi agisce in coerenza con le politiche europee di riduzione del debito pubblico (la ragione per la quale tutti i proletari sono chiamati a sostenere duri sacrifici generazionali) e dei tassi d’interesse sui titoli di stato che hanno drenato risparmio dal settore pubblico a quello privato, aumentando la capitalizzazione della borsa.
Il governo prevede interventi per liberare le banche dai titoli spazzatura -a spese della collettività- e per spingere imprese non quotate in borsa ad agganciare la gigantesca razionalizzazione delle imprese in atto a livello europeo caratterizzata da fusioni e acquisizioni, tipica di una fase di crisi molto profonda.
Da questi fenomeni di concentrazione e centralizzazione, favoriti dallo sviluppo dei mercati finanziari, non scaturirà alcun impulso per la produzione né per la ripresa dell’economia reale, bensì solo migliori condizioni di profitto per i grandi gruppi transnazionali. Le economie e gli stati nazionali saranno ancora più dipendenti dai movimenti dei mercati finanziari. Con effetti di ulteriore peggioramento sulle condizioni dei lavoratori.
La concentrazione del potere economico si associa inevitabilmente ad una maggiore concentrazione del potere politico: Jobs Act, Italicum e Buona Scuola ne sono esempi diretti.
La pressione di questi processi è tale che si è intensificata la capacità di dissenso da parte di un composito movimento sociale che va dalle lotte nella logistica al mondo della scuola, dalla campagna No Expo, alla denuncia dei trattati del TTIP, dalle reti di autoproduzione ai comitati che si oppongono allo scempio dei territori, per la difesa dei beni comuni e dei servizi essenziali.
Di fronte all’opera di distruzione operata dai processi di concentrazione economica e politica, occorre dare il massimo risalto alla capacità di costruzione e ricostruzione di diritti, di relazioni sociali, di solidarietà, di una possibile alternativa che si rinviene all’interno di questi fronti di lotta, contribuendovi da parte degli anarchici con una inclusione caratteristica per la prassi libertaria alla base e per obiettivi praticabili ad ampio livello di partecipazione.
90° Consiglio dei Delegati di Alternativa Libertaria/Fdca
Alternativa Libertaria – Foglio Telematico – Maggio 2015
In questo numero:
1914-2014 Il grande massacro
EXPO 2015 – Nutrire il capitalismo energie per lo sfruttamento
Nel mondo
Palestina-Israele
O Gorizia tu sei maledetta