Si ripete lo scenario del gennaio 2015, quando le istituzioni della UE si erano mobilitate contro la possibilità di una vittoria della coalizione Syriza alle elezioni politiche in Grecia.
L’indizione del referendun del 5 luglio ha prima fatto infuriare e poi costretto al silenzio i vertici della UE. Benchè queste chiamate alle urne non siano – per il loro carattere interclassista – strumenti in grado di rappresentare gli interessi della classe lavoratrice e degli sfruttati, il referendum greco viene visto con timore. Temendo che l’esito delle urne possa spostare un po’ gli equilibri politici a sfavore degli interessi capitalistici internazionali o dell’UE, può persino accadere che il referendum del 5 luglio diventi un pericoloso momento di partecipazione e di democrazia da scongiurare.
Nella vicenda greca, infatti, con la possibilità che il NO possa vincere, stanno emergendo e si rendono trasparenti i fattori del dominio capitalistico. Il 5 luglio, data del referendum sulle proposte dei creditori della Grecia, potrebbe assumere un’importanza emblematica per i popoli europei sottoposti alla dittatura del mercato finanziario.
Aver chiesto in questi 5 mesi di rinegoziare il debito all’interno delle rigidità finanziarie della UE ha assunto una radicale prospettiva storica, quella di dare un segnale nel fermare il saccheggio delle società del debito da parte del grande capitale. Sono state e sono proposte che hanno aperto contraddizioni nei fattori di dominio del capitale stesso.
Ricontrattare il debito pubblico significa, infatti, rendere palese la grande manovra internazionale della ristrutturazione dei debiti privati, gestiti dal sistema finanziario e industriale e riversati abilmente dalla cricca al potere sui deficit pubblici, impossibili da ridimensionare e per questo strozzati dai calcoli contabili della finanza mondiale.
Per l’UE, dunque, la pur limitata democrazia referendaria può diventare addirittura nemica del processo di ristrutturazione in atto fino ad accusare gli “estremisti” di questa sinistra greca di ribellione alle scelte dei banchieri e della alta finanza, pur di infliggere ad un intero popolo il ricatto del rifinanziamento del debito.
Già alcuni anni fa JP Morgan aveva avvisato l’Europa: le Costituzioni europee nate dalla Resistenza e dal contratto sociale che si era imposto in tanti paesi dell’Europa non erano più tollerabili, perchè ostacolavano nei fatti l’espansione del capitale. Bisognava dunque cercare di impedire agli sfruttati ed ai ceti meno abbienti – quelli che la cosiddetta crisi la devono pagare – di poter rivendicare le loro scelte politiche. Lo si è fatto e lo si sta facendo con due mosse: con la repressione quotidiana in tutta Europa della capacità autonoma di opposizione e delle lotte per la giustizia sociale da un lato e con la disincentivazione alla partecipazione alle scelte politiche dall’altro.
Chi invece va blaterando di uscita dall’euro della Grecia o dell’Italia come se questo fosse un toccasana, si dimostra essere un inquinatore di coscienze, scambia gli effetti con le cause del disastro sociale, non coglie i meccanismi del dominio, fa esattamente il gioco dei poteri forti della UE, come le destre europee che, da quella francese in poi stanno infatti utilizzando la battaglia contro il “diabolico Euro” per riaffermare un dominio di classe interno ai propri confini.
La vicenda greca mette in evidenza anche il mutamento di rapporto tra democrazia, rappresentanza e costruzione di alternativa politica che si è alimentato di una certa partecipazione diretta dei protagonisti. I durissimi anni di lotte e di opposizione sociale alle politiche della BCE e del fondo salva-stati in Grecia hanno determinato posizioni chiare sulle lotte e sulle loro risultanti politiche: la celebrazione del referendum greco ne diventa un passaggio decisivo.
L’attacco al proletariato greco oggi è infatti un attacco alle condizioni di vita di milioni di persone che non necessariamente sono rinchiuse nei confini dello Stato di Atene.
Un tempo si diceva che se con le democrazie parlamentari si fosse cambiato il mondo queste sarebbero state abolite, ebbene oggi il dominio della finanza internazionale non abolirà il simulacro della democrazia parlamentare, ma non permetterà che attraverso di essa si possano organizzare forze della sinistra solidale e di classe.
Il ricatto del rifinanziamento del debito oggi si è sostituito allegramente al colpo di Stato militare e fascista di alcuni decenni fa.
Quando la BCE decide di rifiutare i titoli di stato greci come collaterali a garanzia di prestiti alle banche greche, (nonostante la “generosa” erogazione di liquidità di emergenza di questi giorni), prima ancora di avere un segno economico, questa decisione ha un segno nettamente politico.
Non siamo più, infatti, nel 2011-12, quando pur di tenere la Grecia dentro la moneta unica, Germania, Finlandia ed Olanda acconsentirono al doppio salvataggio da lacrime&sangue (il famigerato memorandum della troika da €264 mld) della Grecia, appropriandosi dell’80% del debito greco.
Dopo gli interventi della BCE, soprattutto col recentissimo QE, la situazione economica dell’UE è mutata, per cui più che lo stato debitorio della Grecia (su cui la partita è ancora aperta), a preoccupare tanto i cosiddetti falchi, quanto i governi di centro-destra di Spagna e Portogallo, sarebbe un effetto contagio della vittoria del NO in Grecia all’interno dei singoli Stati (vedi l’affermazione di Podemos in Spagna, le posizioni di Die Linke in Germania,…).
La propaganda a favore del SI’ intende impedire che una vittoria del NO al referendum possa alimentare speranze e instabilità negli altri paesi oppressi dalle politiche di austerity. Ma ulteriore ostinazione da parte delle istituzioni della UE condannerebbe l’Europa ad un decennio di impoverimento che alimenterebbe forze populiste e di estrema destra anti-euro, ma sempre pro-austerity e fortemente anti-proletarie.
La partita nei palazzi del potere europeo è ancora aperta, ma potrebbe diventare più decisiva se entrassero in gioco i movimenti sociali che in tutta Europa si battono contro le politiche di austerity, contro il sacco del territorio, contro la distruzione dei diritti dei lavoratori, contro il razzismo.
Per costruire un’Europa solidale delle classe lavoratrici, occorre una mobilitazione su scala continentale delle forze anticapitaliste, che utilizzi la contraddizione che si aprirebbe in seno all’UE, dopo una vittoria del NO al referendum greco.
Non si tratta di trovare un Tzipras o fare una Syriza in ogni altro paese o di andare a scuola da Iglesias in Spagna per tentare avventure elettorali e parlamentari che non hanno portato mai niente di buono alle classi lavoratrici. Si tratta piuttosto di cogliere l’opportunità e l’utilità di una crepa, di uno spazio politico e sociale che potrebbe aprirsi nel monolite del fiscal compact e dell’economia del debito, per rilanciare le difficili lotte sindacali ed ampliare e sostenere le lotte urbane in tutta Europa, al fine di ricostruire la coscienza di classe necessaria ad una rottura democratica. Una rottura democratica e libertaria di netto segno anticapitalista. che non passi per le scorciatoie elettorali ma per la costruzione di un conflitto sociale diffuso e reticolare, sistematico e costante, in grado di esprimere crescente radicalità dal basso, indirizzata verso la riappropriazione e l’autogestione di risorse comuni, patrimoniali e ambientali, culturali ed economiche, nei territori dell’Europa ed in ogni paese.
A noi spetta il costante impegno quotidiano delle nostre organizzazioni politiche, comuniste anarchiche e libertarie, dentro la realtà di tutti i giorni, anche quando questa sembra allontanarsi dai nostri obiettivi strategici.
Il 5 luglio OXI, per le classi lavoratrici di Grecia e tutta Europa.
Alternativa Libertaria/fdca
4 luglio 2015