* Cremona, 19/11/1896
† Cremona, 1962
«E la mano sul fuoco la metto per Tarquinio Pozzoli, Bigio, Vincenzo Radi, Mariano, tre falegnami e un muratore»: sono le parole con le quali questo compagno chiude la propria autobiografia, dalla lettura della quale risulta agevole comprendere perché la sua figura abbia via via assunto, nel tempo, i contorni e l’alone tipico del racconto e della leggenda popolare. Esse connotano un altissimo grado di sviluppo della coscienza di classe e di appartenenza alla classe. Così come, nello svolgersi dei ricordi della propria vicenda umana e politica, emerge forte anche un altro tipo di appartenenza: quello ideologico. Anarchico a tutto tondo, El Nino, infatti, riferendosi, anche nelle rammemorazioni più remote, ad altri compagni, realtà organizzate o semplici circostanze, non travisa, non confonde, non equivoca: «Il 7 gennaio o febbraio del 1918 scrissi una lettera a un marinaio anarchico di Sestri Ponente, che fu il primo ad insegnarmi le dottrine libertarie. […] Seppi poi che a Taranto vi era un forte gruppo libertario, col quale poi nel 1919 venni a contatto. Mi aggregai ad anarchici o presunti anarchici: Felice Allegri di Milano che doveva scontare venti anni di galera per rifiuto […] un certo Z. di Genova […]»; e ancora, sempre in uno dei periodi trascorsi in carcere: «Fra le altre conoscenze che rammento di più vi era l’anarchico bolognese Riziero Bonfiglioli, condannato per aver stilata una lettera in cui opinava che Gaetano Bresci era stato impiccato in cella dalle autorità. […] Un giorno i poliziotti [siamo “ritornati” a Cremona, ndr] volevano strappare la bandiera all’alfiere del Partito Comunista, ed anzi l’avevano già presa, ed io con lui, a difendere una bandiera che non era la mia, perché militavo nello sparuto gruppo anarchico cremonese. Però in occasione dei funerali di Attilio Boldori, ucciso barbaramente a bastonate, col tacco delle scarpe, in una stalla […] gli arditi del popolo si trovarono uniti agli anarchici, che erano divenuti numerosi per l’attiva propaganda di Vincenzo Radi, cremonese appena arrivato dall’America, uomo deciso, instancabile, morto poi a Verdun, dove si era appena rifugiato nel 1922, quando aveva visto che non c’era più nulla di buono da fare e sdegnato delle cose che stava vedendo poveri contro poveri [corsivo nostro, ndr] che non si sarebbe mai sognato avvenissero. Vi erano anche i ferrovieri, capitanati dall’anarchico Bonini Enrico […] cantammo canzoni rivoluzionarie […]; quella di Caserio; Addio Lugano Bella di Gori e la Pasqua Dei Lavoratori, pure di Gori, ed una che finiva con questo ritornello: “Piombo con piombo” che mi faceva molto piacere a ripetere [El Nino, qui, si sta riferendo a un verso dell’Inno Della Rivolta, di Luigi Molinari, ndr] […] e con noi c’era un anarchico veneziano, pure lui amnistiato. Quando Giulio Vallès faceva il giornale era sempre sfidato da degli spadaccini di professione. Per esempio, la borghesia quando si trova a mal partito paga dei morti di fame dei bassifondi, ai quali al momento giusto bisogna saper dar loro una lezione manuale [corsivo nostro, ndr] […] Errico Malatesta l’ha sempre detto che i parlamentari, anche se sono di sinistra, sono i frenatori della rivoluzione popolare […] per esempio nel 1921, quando Errico Malatesta con i suoi due compagni Borghi e Quaglino facevano lo sciopero della fame […]».
Si arruola giovanissimo nella Marina militare e di lì a poco conosce il primo arresto, proprio per aver scritto a quel «marinaio anarchico di Sestri Ponente». “Proverà” dunque il carcere di Taranto, quello di Potenza, di Poggio Reale, a Napoli, e infine Gaeta, dove subito si aggrega «ad anarchici». Amnistiato, fa ritorno a Cremona. Nel ’21 è posto «al comando della zona di centro» [Cremona era stata divisa in sei zone, una delle quali, appunto, “il centro” propriamente detto, ndr] per gli Arditi del Popolo di cui può ben dirsi essere stato uno dei maggiori esponenti locali in assoluto. Alle riunioni per deciderne strategia e modalità di intervento El Nino porta le «argomentazioni dei libertari», anche «perché sia Radi che Bonini mi facevano la testa come un pallone». Compagno sempre disponibile alla collaborazione (in particolare con le figure più credibili e a volte assunte a “modello etico” del neonato Partito Comunista d’Italia), El Nino vive “imprese avventurose” e dal “sapore spagnolo” e “hemingwaiano”, in prima persona, assumendone rischi e responsabilità, con uno spirito che, ancor prima che “guerriero”, può definirsi “atletico-agonistico”: «Fisicamente ero a posto e poi avevo una rivoltella in tasca. Ero a nozze».
Impossibile eludere questo suo tratto; El Nino era un cultore della forma fisica, dello sport, dell’esercizio regolare, sistematico, quotidiano. Esperto di lotta greco-romana, queste doti fisiche e di conoscenza tecnica del combattimento corpo a corpo, congiunte a una determinazione interiore certo fuori del comune, hanno fatto di lui uno degli antifascisti militanti più noti e più temuti dallo squadrismo farinacciano; tutte le testimonianze concordano nel vederlo uscire pressoché sempre vittorioso, anche a fronte di manifesta asimmetria di forze in campo, in occasione di scontri coi “bravacci” del regime.
Poche parole, nella loro ingenua semplicità, sono utili per comprendere il nocciolo di questa peculiare visione del compagno: «[…] e credete a me, che ho una certa esperienza, che la gente che s’interessa di politica è la più cattiva; hanno lo scopo di arrivare in alto, sono degli ambiziosi, che pur di arrivare al traguardo fanno rovinare anche migliaia di persone, vedi ieri Mussolini, oggi un qualunque Saragat [leader socialista e socialdemocratico, fu anche Presidente della Repubblica, ndr] e la gente migliore invece sono quelli che si interessano di sport».
In tutti i luoghi in cui lo si cita, El Nino viene ricordato come uno dei protagonisti de Il fatto dell’osteria del Salice in via Morbasco ora via Massarotti: 28 maggio 1922 (una singolare coincidenza vuole che proprio in via Massarotti, mezzo secolo dopo, al numero 44, si avviasse la ripresa dell’anarchismo cremonese che, con il nome di Gruppo Comunista-Anarchico di Cremona, vi insediò la sede per alcuni anni, al punto, ad esempio, che chiunque militasse nella sinistra extraparlamentare dell’epoca – anni ’70 –, se richiesto di informazioni in proposito, indicasse, quasi sovrapponendoli, i termini anarchici e via Massarotti). In questo tragico episodio, costituito da uno scontro armato (vi fu un’intensa sparatoria “bilaterale”) quasi concordato, fra antifascisti e squadristi cremonesi – scontro nel quale perse la vita un compagno comunista e vi furono diversi feriti –, El Nino seppe, sempre a modo suo, distinguersi per prontezza, determinazione, audacia e… arditismo! Di tale cruento fatto esistono diverse versioni, ufficiali e non, una delle quali di El Nino stesso, il quale non solo non esclude, ma pare addirittura avallare l’ipotesi di ragioni assai “impolitiche” che, una volta di più, testimonierebbero del grado di bassezza morale dei fan del Duce.
Scevro da dogmatismi (molto spesso, in occasione di elezioni, decide di non astenersi e di votare a sinistra non fosse solo che per far dispetto ai “cardinali” e alle loro intollerabili ingerenze in tali circostanze… «Ma questo, mi ripeto, non serve a nulla»), risulta istruttivo e quanto mai attuale riflettere su alcune delle sue ultime considerazioni (si ricordi che scompare nel 1962): «Tenete d’occhio l’ONU. Finché la maggioranza è nettamente per gli Stati Uniti d’America va sempre bene, ma se domani gli Stati asiatici ed africani si svegliano completamente…»; e ancora: «Altra porcheria escogitata dalla classe dominante: pensione ai parlamentari. Se le masse si agitassero e riuscissero a rovesciare il regime vigente, mi par di sentire questi a dire: “Toh! proprio adesso che avevo ottenuto il diritto alla pensione!” Ci rimarrebbero male questi rivoluzionari di cartone».
Di El Nino s’è detto: «Pur spostato al limite della classe…» – riferimento, come minimo, assai opinabile – e che con lui «la lezione dell’anarchico che ricorre al terrorismo e all’illegalità si riconferma essere di carattere eminentemente morale» (riferimento certo non opinabile); ma per comprenderlo davvero e trattenerlo come merita, in quel suo “tutto” che ne fornisce la cifra morale, meglio affidarsi alle sue parole: «Per fare della politica ci vuole un cuore, il cuore buono. Non basta essere intelligente, istruito, se non c’è il cuore, il convincimento, il carattere. […] A Cremona, due capi fascisti, Farinacci e Balestreri, erano socialisti, ma il socialismo non insegnò loro nulla, perché nel cuore loro non potevano albergare buoni sentimenti».
Testimonianza e contributo di Gianfranco Fiameni
Quanto si riporta di seguito è il prodotto di alcuni incontri avuti con Gianfranco Fiameni, in Cremona, a cavallo fra i mesi di aprile e maggio 2013. Nel corso dell’ultimo ci è stato consegnato tale materiale (assieme ad altro contributo utile alla nostra ricerca). S’è deciso di pubblicarlo integralmente (l’originale, sotto forma di fogli manoscritti, è conservato presso la Fed. Prov.le), in considerazione sia del contenuto, sia del rispetto dovuto al militante rivoluzionario.
Ho conosciuto il Nino frequentando la casa di Danilo, in alcuni momenti quasi quotidianamente. Era un uomo di non alta statura, ma di cui si intuiva una forza fisica che doveva essere stata notevole in gioventù, come del resto risulta evidente dall’autobiografia e dalle note di Montaldi contenute nell’autobiografia di Militanti politici di base (pp. 102-141).
Quest’autobiografia – da leggersi dentro due scritti: 1) l’Introduzione e 2) il Commento alle autobiografie per uscire dall’aneddotica di breve respiro individuale e politico – è ricca di una ricchezza esplicita e implicita, davvero storica in senso lato, di opinioni, situazioni, giudizi e valutazioni. Lo spessore dei personaggi merita quello che Montaldi gli tributa sul piano della comprensione della cultura individuale e delle collocazioni (ciò concerne anche Bonini, è ovvio) sociali e politiche.
Credo che, se qualcosa merita di essere studiato, sia quanto suggeriscono queste vicende del secolo scorso a un lettore di oggi, che abbia ciò che manca o che è desueto per lo più: una curiosità fattiva e orientata a uscire dalle chiacchiere (anche dalle mie, quando un po’ mi scappano).
In questi anni – che sono stati anche densi di riletture adempienti – su Montaldi ne sono state dette d’ogni. Non mi stupisce, capita sempre, ed è pure segno della vitalità di un’opera che sbanda proficuamente in tante direzioni.
Importante è non stare di guardia ai fortini dell’ortodossia, perché da lì si capisce poco, importante è offrire contenuti vivi.
Gianfranco Fiameni (Cremona, 13/05/1935)
Insegnante elementare dapprima, poi nelle scuole medie, ha collaborato con la cattedra di Analisi delle Strutture Urbanistiche e Territoriali del Politecnico di Milano.
Dai primi anni ’50, con Danilo Montaldi, a Cremona, ha aderito, fino al 1975, data di morte di Montaldi, al Gruppo di Unità Proletaria, formazione autonoma della sinistra comunista di classe che ha pubblicato dapprima un giornaletto ciclostilato aperto a contributi di formazioni europee (Socialisme ou Barbarie, Pouvoir Ouvrier, Solidarity ecc.), entrando in contatto con numerose minoranze italiane, francesi, spagnole, inglesi, tedesche, statunitensi, giapponesi ecc., poi dei fogli volanti usciti da situazioni di lotta di base e quindi alcune pubblicazioni tese a coagulare – se e dove possibile – forze di minoranza attorno a proposte di azione unitaria (ad esempio, “La piattaforma del potere operaio”, piattaforma politica di Pouvoir Ouvrier, Francia, più una serie di citazioni tratte da vari autori, e “Lo Stato, i trasporti, la Fiat e la classe operaia”, firmato Gruppo Carlo Marx – così U.P. era diventata nel tempo) presso la collana “Battaglie politiche” della Libreria Feltrinelli nel 1968.
Insieme con Danilo Montaldi e altri ha partecipato alla fondazione del Gruppo d’arte Renzo Botti, a Cremona. Alla morte di Montaldi, il Gruppo d’arte Renzo Botti ha allestito, con opere concesse da molti degli artisti che avevano partecipato a pieno titolo alle attività della Galleria, una mostra con un catalogo che raccoglie tutti gli scritti di Montaldi (1977) dedicati all’attività artistica.
Fiameni ha partecipato, in veste di relatore e curatore delle pubblicazioni degli Atti del Convegno, a Danilo Montaldi: azione politica e ricerca sociale per la Biblioteca Statale di Cremona (2006) e –per le stesse edizioni – a Danilo Montaldi-Giuseppe Guerreschi, Lettere 1963-1975, Annali della Biblioteca Statale e Libreria Civica di Cremona (2000).
[Questo breve schizzo biografico mi pare bastare. Tende a dare indicazioni al lettore interessato ad approfondire, che è ciò che davvero importa. G.F.]
Per tutta una serie di persone e per una cronaca (che è assai di più) della Cremona di Bonini, del Nino e di tantissimi altri resta utilissimo il libro di Maria Biselli curato da Ughetta Usberti: Maria Biselli. Il mio regno d’oro. Racconto della città di Cremona (1900-1945), Cremona-Mantova, Libreria Ponchielli-Gianluigi Arcari, 1994. Troverai, in ritratti viventi, molte delle personalità di cui vai cercando (e anche molto di più), molte storie, molta biografia che riguarda luoghi e persone.
Su Montaldi, se vai a cercare su Internet trovi tutto, è una voce ricca.
Il miglior libro su Socialisme ou Barbarie è: Philippe Gottraux, Socialisme ou Barbarie. Un engagement politique et intellectuel dans la France de l’après-guerre, Lausanne, Editions Payot, 1997.
Tutta una serie di: personaggi*, notizie*, episodi*, cronache* ecc. li trovi (proprio molti di quelli che interessano te) nel Commento alle autobiografie, cioè nelle note dove Montaldi integra con una miriade di precisazioni su appartenenze, episodi, valutazioni, giudizi, riferimenti, precisazioni ecc., tutto quanto insomma di quello che l’intervistato non dice perché lo reputa conosciuto, superfluo, ecc., tutto quello, in altri termini, che non rientra nel rapporto complesso intervistato-intervistatore [Montaldi non è della stirpe, a quei tempi foltissima, dei cultori del magnetofono, alla Bosio, per intenderci]. Però attenzione: c’è in giro un’edizione delle Autobiografie della leggera, Bompiani, 1998, con prefazione di Piergiorgio Bellocchio, che credo tu possa trovare ancora; dei Militanti politici di base non so. Però in biblioteca c’è, ed è qui che troverai tutta quella messe di note che dovrebbero esserti indispensabili a fornirti una piattaforma iniziale.
Come “finalino” dico che, se è pur vero che habent sua fata libelli quando cominciano la loro peregrinazione mondana nelle mani della gente, se è altrettanto vero che nessuno potrà governare le vicissitudini (il che non sarebbe al limite neppur auspicabile), se – infine – un libro, una voce, una cultura è bene si ibridino, è anche vero che non bisognerebbe tirare gli altri per la giacca per far dir loro quanto non hanno inteso dire.
Ora, in mezzo a tante cose degne che sono uscite su di lui [Danilo Montaldi, ndr], vi sono ancora in giro anche cose di ben poco fiato. Io sarò contento se da parte anarchica, qual sia, usciranno contributi atti ad allargare il ventaglio degli apporti storici e di pensiero, e interpretazioni nuove, quali siano.
Molto resta da studiare – su Montaldi, su quelle esperienze, sul loro eventuale trapasso al presente, sull’oggi stesso: è campo aperto.
Non potrei consigliarti altro che un buon periodo di letture; Montaldi è una personalità complessa, non ancora del tutto studiata e che ha ancora tanto da dire proprio sui propri (e altrui) rapporti con l’anarchismo, lo stalinismo storico, il suo approccio alla politica ecc.
Insomma: fatti un giro su Internet e… buon studio e – se il tempo te lo concede (tempo storico, si capisce) – tu e i tuoi compagni rapportatevi al divenire. Io son troppo vecchio ed essendo partigiano della sobrietà ti ho mandato una brevissima biografia. Altro trovi su Internet sotto il mio nome. Io non l’ho mai visto, ma me l’hanno detto.
Ciao, a te e a tutti.
G. Fiameni
[Dai un’occhiata anche a Diario di un operaio, Einaudi, tradotto da Montaldi, ma ancor più alla polemica che ne è seguita al periodo, sui giornali. Al lavoro!]
Fonti:
D. Montaldi, Militanti politici di base, Torino, Einaudi, 1972².
Bibliografia:
R.A. Rozzi, I cremonesi e Farinacci, Cremona, Biblioteca Statale, 1994.