Sport, devastazione e la maledizione dei grandi eventi
L’annuncio dell’assegnazione delle Olimpiadi invernali del 2026 a Milano-Cortina sta raccogliendo plausi quasi unanimi dalla politica e dalla carta stampata. La solita prosopopea dell’opportunità mondiale, del rilancio del sistema paese attraverso gli investimenti per le infrastrutture, dell’occasione unica di visibilità che avrebbe ricadute positive per anni, unita ad una certa retorica nazionalista e sciovinista pare non lasciare spazio a nessuna voce contraria.
Eppure basterebbe guardare all’esperienza di Torino 2006, con la costruzione di impianti avanguardistici ed estremamente costosi utilizzati solo in quelle occasioni e rimasti come santuari dello spreco a deturpare il paesaggio naturale; oppure all’ultima grande opera italiana, Expo 2015, che ha si avuto un ritorno d’immagine oltre ogni aspettativa per Milano, ma ha significato anche e soprattutto sperpero di denaro pubblico enorme, gentrificazione selvaggia per alcune zone della città, a tutto svantaggio delle classi meno abbienti costrette a sussistere oppure a spostarsi nella cintura esterna della città, uno sfruttamento lavorativo costruito sul mito della partecipazione, che ha visto migliaia di giovani prestare opere volontarie (ovverosia non pagate) per la buona riuscita dell’operazione di marketing, sdoganamento del project financing per finanziare arterie inutili e sottoutilizzate quali la TEM, la Bre.Be.Mi e la Pedemontana (addirittura non terminata); project financing che poi si è rivelato un modo “à la page” che tradotto significa nazionalizzazione delle perdite e privatizzazione del profitto. Tutto ciò senza scordare che la fase post Expo è ancora tutta da scrivere, con un’area immensa alle porte di Milano che si cerca a tutti i costi di mettere a profitto.
Tutto questo è ciò che è accaduto alla luce del sole, tacendo per pudore di mazzette, infiltrazioni mafiose eccetera.
Venendo al progetto di Milano-Cortina 2026, al netto di strutture già esistenti che andrebbero rimodernate, saltano subito all’occhio diverse cose. A Milano i mega cantieri saranno almeno due, nella parte sud est della città.
Il villaggio olimpico 1 (il 2 e il 3 saranno rispettivamente a Livigno e Cortina D’Ampezzo) che sorgerà allo scalo di Porta Romana e il PalaItalia a Santa Giulia.
Lo scalo di Porta Romana rientra in una strategia di lungo corso che punta a mettere a profitto tutti gli scali in disuso della capitale lombarda. Il villaggio olimpico cadrebbe a fagiolo a Porta Romana, già travolta dalla gentrificazione e “bisognosa” di un grande polo d’attrattiva che completi l’offerta commerciale della zona.
Detto en passant, lo scalo Farini fa parte della più grande operazione di riqualificazione immobiliare milanese, quella di “Garibaldi-Isola” e del complesso di piazza Gae Aulenti, del bosco verticale e del palazzo della regione; lo scalo di porta Vittoria è andato incontro ad uno scandalo dovuto al crac dell’immobiliarista Coppola ed i lavori sono bloccati da anni; alle spalle di Porta Genova si estende uno dei quartieri più trendy di Milano, fatto di musei, spazi culturali, librerie e soprattutto wine bar e osterie non esattamente a buon mercato; la stessa sorte sta accadendo a Lambrate, perlomeno nella porzione più attigua a città studi. A Greco-Pirelli, dopo la costruzione dell’università Bicocca, gli affitti in zona sono lievitati a dismisura, mentre lo scalo di Rogoredo subisce un po’ il fallimento del progetto del quartiere Santa Giulia, ma qui ci ricolleghiamo alla seconda grande opera milanese.
Il PalaItalia dovrà essere un palazzetto da 12.000 posti in una città che già conta Forum, Palalido e PalaSharp. Pensato per rilanciare l’area di Santa Giulia, che doveva essere un quartiere di lusso e avanguardia alla periferia estrema di Milano ma che non è mai davvero decollato come avrebbe dovuto, anche a causa del fallimento dei lavori allo scalo Vittoria di cui accennavamo sopra, questo palazzetto viene già da ora “venduto” come spazio che aiuterà a contrastare il degrado, dato che sorgerà non distante dal famigerato Bosco dello spaccio di Rogoredo, al centro di una criminalizzazione che ha pochi precedenti, volta non tanto a sconfiggere lo spaccio di sostanze stupefacenti, ma più che altro a liberare un’area che fa gola al capitale in una delle zone più futuribili di Milano; criminalizzazione che guarda caso non è avvenuta in altri luoghi ugualmente noti, come ad esempio il “fortino della droga” di via Bligny, dove non vanno a rifornirsi i ragazzini o delle persone che vivono ai margini della società, ma gli studenti bocconiani e molti manager della Milano bene, come testimoniato anche dall’antropologo Andrea Staid che in quello spazio ha vissuto per un anno (https://www.vice.com/it/article/78zzab/viale-bligny-42-milano-intervista-andrea-staid-i-dannati-della-metropoli-fortino-della-droga-349).
Questo per ciò che concerne Milano.
Passando alla montagna, Valtellina, Val di Fiemme e Dolomiti Ampezzane rischiano davvero grosso. Se è vero che gli impianti sportivi veri e propri sono già presenti nei territori e andranno “soltanto” tirati a lucido e magari ampliati, i pericoli veri arrivano da altre parti: infrastrutture di collegamento, richieste a gran voce da diversi sindaci dei territori olimpici; turistificazione selvaggia ed impattante; rischio di compromissione di un ambiente naturale fragile che si è conservato proprio per le difficoltà di accesso.
Per ciò che concerne le infrastrutture, appena è stata annunciata la vittoria della candidatura italiana, sono partiti dei deliri di onnipotenza tali da fare impallidire le ragioni dei SiTav: si parte dalla richiesta più abusata di prolungamento dell’autostrada A27 (cosiddetta Mestre-Belluno) fino in Austria, alla costruzione di nuovi impianti di risalita affetti da gigantismo strutturale, passando per altri due villaggi olimpici, completi di complessi residenziali fino alla fantascientifica idea di velocizzare i collegamenti tra i gangli nevralgici delle olimpiadi, sebbene non si sappia ancora come (Bormio e Cortina distano 4 ore e mezza di macchia l’una dall’altra).
A questa colata di cemento e tecnologia rilasciata su un ecosistema che ancora bene o male si regge in equilibrio, bisogna aggiungere la quantità immensa di pubblico che si riverserà in montagna, persone spesso e volentieri rispettose dell’habitat alpino, ma che nella massa indistinta di turisti che pretendono un trattamento da villaggio turistico all inclusive ovunque vadano, nemmeno si godranno il paesaggio. Si parla già di rispetto per la natura, di minor invasività possibile, di turismo responsabile. Tutte balle. Com’è possibile mantenere in equilibrio un ecosistema basato sulla poca accessibilità se al suo interno vengono inserite centinaia di migliaia di persone che possono arrivare solamente in automobile o in pullman? Centinaia di migliaia di persone che mangeranno, berranno, fumeranno, faranno acquisti, intaseranno strade secondarie, richiederanno delle aree di parcheggio enormi, tenteranno di andare per cime e sentieri senza avere né esperienza né preparazione. Una specie di apocalisse di due settimane che non potrà essere ripagata solo con l’ingente flusso di denaro che arriverà nelle tasche di ristoratori, albergatori, noleggiatori di attrezzature ma che rischierà anzi di compromettere il delicato equilibrio montano per anni, lasciando dietro di loro una mole di costruzioni in cemento che dopo l’olimpiade non avranno più senso di esistere, per mancanza di domanda.
Le serate alpine verranno trasformate in “eventifici” (cit. Alpinismo Molotov) che porteranno ai piedi delle vette alpine la “Milano da bere”, ovviamente per chi se la potrà permettere; i meno abbienti magari si accontenteranno di mangiare un trancio di pizza seduti sui gradini della chiesa, venendo magari etichettati come turisti sporcaccioni dagli amanti del decoro.
Lungi da noi cadere nella dialettica della natura salvifica, della purezza del mondo naturale dal quale l’essere umano si è distaccato; l’essere umano è animale sociale, non animale naturale e proprio per questo motivo, in quanto essere senziente, può e deve sottrarsi alla logica capitalista e mercantilista che vede il paesaggio, la flora e la fauna solo come soggetti passivi di un evento antropico.
In chiusura vogliamo evidenziare tre aspetti magari meno impattanti ma di certo importanti per capire determinati meccanismi:
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la simbiosi totale tra le politiche legislative e le grandi opere: è di pochi giorni fa la legge detta Sblocca Cantieri, che porta con sé la riforma del codice degli appalti atta a velocizzare e snellire le procedure di appalto: un indubbio regalo alle mafie ma che guarda caso si adatta perfettamente alla cementificazione che l’olimpiade porterà con sé.
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Il sindaco di Milano Beppe Sala si conferma vero deus ex machina del capitalismo immobiliare. Dopo aver gestito Expo ecco le olimpiadi invernali a Milano, che si inseriscono appieno in un piano almeno ventennale di messa a profitto del patrimonio pubblico meneghino inutilizzato. Sicuramente sarebbe ingiusto incolpare Sala delle scelte pregresse, ma l’ex commissario Expo è stato candidato per il PD proprio in quanto uomo in gamba a gestire questioni di urbanizzazione, privatizzazione e project financing. Un vero top manager che veste calze arcobaleno per il gay pride mentre invita a Milano gli operatori turistici del mondo LGBT+ e che firma il manifesto per l’emergenza climatica di Fridays for Future mentre si prepara a cementificare per un mega evento che si estende per centinaia di km di arco alpino.
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Crediamo sia giusto sottolineare che dal punto di vista sportivo, l’olimpiade rappresenta una delle vette più alte, fatta di atleti straordinari con doti assolutamente non comuni. Ma ci piace chiudere con le parole di Carlo Alberto Pinelli, presidente onorario di Mountain Wilderness International e accademico del CAI: “Non ho difficoltà ad affermare che non mi schiero solo contro le Olimpiadi di Milano-Cortina. Sono contro qualsiasi Olimpiade, così come quei giochi sono stati ridotti dall’avidità consumistica e dalla spettacolarizzazione più becera, in totale disprezzo per il significato della montagna e dei suoi valori”.