Le elezioni ed i parlamenti come è noto non sono -per il loro carattere interclassista- strumenti in grado di rappresentare gli interessi della classe lavoratrice e degli sfruttati. E se mai si dovesse paventare che l’esito delle urne possa spostare un po’ gli equilibri politici a sfavore degli interessi capitalistici internazionali o di quel singolo Stato, può persino accadere che le elezioni diventino un pericoloso momento di partecipazione e di democrazia da scongiurare.
E’ ciò che sembra stia accadendo per la scadenza elettorale in Grecia. Nella vicenda elettorale greca, infatti, con la possibilità che Syriza, formazione eterogenea della sinistra greca guidata da Alexis Tsipras, possa vincere le elezioni per il parlamento di Atene, stanno emergendo e si rendono trasparenti i fattori del dominio capitalistico. Il 25 gennaio, data delle elezioni politiche in Grecia, potrebbe assumere un’importanza emblematica per i popoli europei sottoposti alla dittatura del mercato finanziario.
Non è una scoperta recente che il grande capitale sia l’artefice della formazione dei gruppi dirigenti in tutti i paesi di Europa, tuttavia stavolta la piccola forza della sinistra greca sembra aver colpito nel segno con il suo apparentemente pur minimo programma elettorale. Chiedere di rinegoziare il debito all’interno delle rigidità finanziarie della UE assume una radicale prospettiva storica, quella di fermare il saccheggio delle società del debito da parte del grande capitale. Sono proposte che aprono contraddizioni nei fattori di dominio del capitale stesso.
Ricontrattare il debito pubblico significa, infatti, rendere palese la grande manovra internazionale della ristrutturazione dei debiti privati, gestiti dal sistema finanziario e industriale e riversati abilmente dalla cricca al potere sui deficit pubblici, impossibili da ridimensionare e per questo strozzati dai calcoli contabili della finanza mondiale.
Che il potere reale risieda nei portafogli dei grandi gruppi finanziari non è cosa nuova, è inedito invece l’attacco esplicito e preventivo come quello scatenato contro Syriza dai dittatori del libero mercato. Per l’UE, la pur limitata democrazia parlamentare può diventare addirittura nemica del processo di ristrutturazione in atto ed accusando gli “estremisti” di questa sinistra greca di ribellione alle scelte dei banchieri e della alta finanza, infligge ad un intero popolo il ricatto del rifinanziamento del debito. Così come accadde quando nel 2011 il governo greco dovette annullare il referendum sul piano di salvataggio della Troika.
JP Morgan alcuni anni fa aveva avvisato l’Europa: le Costituzioni europee nate dalla Resistenza e dal contratto sociale che si era imposto in tanti paesi dell’Europa non erano più tollerabili, ostacolavano nei fatti l’espansione del capitale. Bisognava dunque cercare di impedire agli sfruttati ed ai ceti meno abbienti -quelli che la cosiddetta crisi la devono pagare- di poter rivendicare le loro scelte politiche. Lo si è fatto e lo si sta facendo con due mosse: con la repressione quotidiana in tutta Europa della capacità autonoma di opposizione e delle lotte per la giustizia sociale da un lato e con la disincentivazione alla partecipazione alle scelte politiche dall’altro.
Chi invece va blaterando di uscita dall’euro come se questo fosse un toccasana, si dimostra essere un inquinatore di coscienze, scambia gli effetti con le cause del disastro sociale, non coglie i meccanismi del dominio, fa esattamente il gioco dei poteri forti della UE, le destre europee che, da quella francese in poi stanno infatti utilizzando la battaglia contro il “diabolico Euro” per riaffermare un dominio di classe interno ai propri confini, pensando che tutti si siano dimenticati di come erano le condizioni dei lavoratori e dei ceti popolari rinchiusi nei secolari confini di asfissianti patrie.
La vicenda greca mette in evidenza anche il mutamento di rapporto tra democrazia, rappresentanza e costruzione di coalizioni politiche che si è alimentato di una certa partecipazione diretta dei protagonisti. I durissimi anni di lotte e di opposizione sociale alle politiche della BCE e del fondo salva-stati hanno determinato posizioni chiare sulle lotte e sulle risultanti politiche, che ora si esprimono in parte anche con la anomalia Syriza.
Noi come comunisti anarchici e libertari che non abbiamo passione alcuna per le elezioni, non possiamo tuttavia ignorare quanto sta accadendo e distinguere tra le elezioni in quanto strumento di consenso e la libertà di associarsi politicamente. L’attacco a Syriza è oggi un attacco alle condizioni di vita di milioni di persone che non necessariamente sono rinchiuse nei confini dello Stato di Atene. L’attacco al diritto di associazione e di coalizione, alla partecipazione attraverso la democrazia, anche quella elettorale, sferrato dalla dittatura del mercato finanziario non ci può lasciare indifferenti.
Un tempo si diceva che se con le democrazie parlamentari si fosse cambiato il mondo queste sarebbero state abolite, ebbene oggi il dominio della finanza internazionale non abolirà il simulacro della democrazia parlamentare, ma non permetterà che attraverso di essa si possano organizzare forze della sinistra solidale e di classe.
Il ricatto del rifinanziamento del debito oggi si è sostituito allegramente al colpo di Stato militare e fascista di alcuni decenni fa.
Alternativa Libertaria/Fdca
gennaio 2015