north america / mexico | community struggles | opinion / analysisFriday November 22, 2013 00:14 by S.B. – Rochester Red & Blackhttps://www.facebook.com/pages/Expect-Resistance-A-Documentary-on-Housing-Defense-and-Liberation/131551616928675
Quando si prende in considerazione la creazione di una “Zona No Sfratto”, ricordiamoci che si tratta solo di uno strumento simbolico in un percorso basato sulla lotta di classe.
La tradizione anarchica ed antiautoritaria ha le sue radici non in una teoria astratta ma in un intervento concreto sul terreno. Questo spesso si esprime in una sorta di reazione alle esperienze vissute; un modo di sintetizzare una teoria pragmatica estratta e ricavata da tentativi ed errori. David Graeber fa notare che questo aiuta a separare la scuola di pensiero anarchica da quella marxista, confontando le diversità teoriche sul piano della diversità della prassi.
“Ci sono gli anarco-sindacalisti, i comunisti-anarchici, gli insurrezionalisti, i cooperativisti, gli individualisti, i piattaformisti…nessuno dei quali deve il proprio nome ad un Grande Pensatore; invece, tutti devono il loro nome ad un qualche tipo di prassi, o più spesso, a principi organizzativi. Agli anarchici piace differenziarsi in base a quello che fanno, ed a come organizzarsi per riuscire a farlo.” (1)
Questo è il fondamento che in realtà distingue il carattere rivoluzionario dell’anarchismo dalle varie correnti ideologiche che cercano di sovvertire il sistema: è lo sforzo di realizzare un movimento ed un mondo per come potrebbe essere. L’anarchismo, col suo incentrarsi sull’azione diretta e sulla democrazia diretta, ritiene che i metodi per combattere le gerarchie e per sviluppare la rivoluzione siano esattamente gli stessi sistemi sociali che si dovrebbe porre in essere una volta che gli ostacoli maggiori siano stati rimossi. I metodi per realizzare un mondo nuovo dovrebbero essere le istituzioni intrinseche della società liberata.
Le politiche prefigurative intervengono direttamente in questa teoria della prassi relativamente alla nostra capacità di sviluppare ampie lotte e di costruire quelle contro-istituzioni in grado di porsi come modello del futuro sistema sociale. L’assemblea di quartiere, i sindacati degli inquilini, i sistemi di mutuo appoggio che possono difendere i quartieri durante le azioni anti-sfratto possono piantare i semi per un sistema in cui il controllo sugli alloggi possa essere in futuro mantenuto dalla comunità. Questo può spesso indurci ad andare anche oltre, come a dire che le nostre tattiche possono diventare istituzioni salde in sè e per sè dal momento che sono utili alla creazione di questa forza controculturale. Il problema della tattica, però, come spesso sostiene Noam Chomsky, è che essa da sola non basta per creare movimenti.
Il paradosso che spesso emerge quando pensiamo al nostro progetto organizzativo, ora, nel prefigurare la società del futuro sta nel fatto che la nostra politica odierna esiste in gran parte come performance, in cui spesso abbiamo a che fare con degli assoluti relativi. Un esempio di questo è l’azione difensiva contro i pignoramenti, in cui il termine Zona No Sfratto è stato spesso usato tatticamente. L’idea in questo caso è che noi attribuiamo un parametro pre-impostato in una città con magari un’alta densità di famiglie colpite dagli sfratti. Dichiariamo quest’area “off limits” per gli sfratti e per sgomberi forzosi, cercando di creare in quei quartieri legami di solidarietà talmente forti da rendere letteralmente difficile per le banche passare a sfratti esecutivi su certi caseggiati. Questo progetto è spesso associato a vari slogan che evocano comunque la fine degli sfratti. Questo linguaggio risoluto è un grande segnale per scoraggiare i proprietari di case, ma non riflette la realtà di come funziona un quartiere sano.
Per quanto possa essere difficile da dire per chi sta nei movimenti anticapitalisti, bisogna mettere in conto che ci possano essere persone che dovrebbero semplicemente essere sfrattate.
In qualsiasi quartiere ci saranno dozzine di case di proprietà di costruttori che si rifiutano di pagare le tasse. Gli sfratti e gli sgomberi forzosi apparariranno logici per quasi tutti nel quartiere, specialmente se parliamo dei signori dei bassifondi sfitti che conducono una vita isolata da alta borghesia.
In secondo luogo, ci sono numerose situazioni in cui le persone di un quartiere possono creare situazioni pericolose per gli altri abitanti. Violenze domestiche, problemi di droga, ed un insieme di coercitive relazioni sociali possono creare situazioni problematiche che trasformano interi quartieri in zone alienate dove non si riesce a trovare un fertile spazio sociale. Ci sono una serie di motivi per cui una comunità potrebbe giungere a chiedere a qualcuno di andarsene, anche se la cosa non è inquadrabile in termini di sfratto. Anche sotto il massimo controllo di base, questo principio del “no sfratto” non riesce ad assurgere ad assioma universale che potrebbe stare dietro in ciascuna ed in ogni situazione. Una comunità dovrebbe essere in grado di giungere tutta insieme alla richiesta che uno stupratore od un militante fascista debbano andarsene ad ogni costo.
Questo tipo di slogan, sebbene siano incredibilmente utili nel creare delle parole d’ordine nel corso di una campagna di mobilitazione, portano anche a confondere i valori con le tattiche. Tatticamente, stiamo dichiarando un’area come zona no-sfratto. I valori che guidano questa campagna, tuttavia, vanno molto più in profondità di un semplice ostacolo giuridico.
Nei nostri quartieri, gli sfratti riflettono sempre una disuguaglianza di classe, e non una rimozione forzosa perchè la presenza di quella persona è diventata fonte di insicurezza o perchè ha minato in qualche modo la fiducia reciproca nella comunità Gli sfratti riflettono l’incapacità di una persona di vivere al livello economico che gli viene richiesto, che non c’entra nulla con una sorta di incapacità morale. La resistenza agli sfratti non sta nello sfratto in sè, ma nella profonda iniquità di base che esso rappresenta nella nostra vita sociale. Lo sfratto è uno strumento dello sfruttamento di classe, e nello scontrarci con questa evenienza lo usiamo come un’arena per sviluppare lotta di classe. Gli sfratti diventano collaterali ad un più ampio ventaglio di forme intersecantisi di oppressione e di attacchi portati dalle istituzioni di classe dominanti. E’ facile rendersi conto anche vagamente che esiste una disuguaglianza di classe nella società, ma ci deve essere uno specifico in cui affrontarla. La lotta per la casa è una diretta manifestazione dell’antagonismo di classe, e perciò la resistenza agli sfratti diviene un fronte in cui contrastare la logica di questo rullo compressore capitalista. I pignoramenti sono frutti maturi per il raccolto, dato che le banche non vogliono più giocare col trucco: ora semplicemente vengono e si prendono quello che vogliono.
Lo scopo qui, come per qualsiasi movimento che voglia veramente spingere per una nuova impostazione delle relazioni sociali, è quello di paralizzare le attuali istituzioni di classe e spingere verso qualcosa di più umano con cui sostituirle. Le istituzioni popolari sotto il controllo della comunità possono del resto venire incontro ai bisogni delle persone di qualsiasi strada, molto meglio delle lama affilata di una banca commerciale, e l’unico modo per farlo è spogliare del loro potere coloro che oggi ne hanno il controllo. La loro forza proviene dalla loro capacità di dichiarare la proprietà, di ottenere il supporto della polizia, di costringere le persone a subire uno sfratto. Finchè iniziamo a dire di no. Finchè iniziamo a dire: noi non ce ne andiamo.
Il problema qui non sta nell’uso di un tipo di linguaggio assolutistico, dato che è questo tipo di retorica che poi fa vincere le campagne. Il problema reale si forma quando le persone fondano una cultura ed una prassi al di là dello scopo della singola campagna piuttosto che sui valori che vi stanno dietro. L’intervento per una Zona No-Sfratto è utile solo nella misura in cui porta a lottare contro la classe dei banchieri e per creare contro-istituzioni che abbiano la capacità di aprire nuove possibilità. Altrimenti si tratta solo di opere di carità o di mettere un cerotto su una ferita sociale aperta. Noi siamo per mettere fine agli sfratti usati come strumento volto a colpire una classe sociale, come mezzo per rompere la stabilità delle famiglie e per diffondere la paura di finire in mezzo ad una strada, o come un metodo per distruggere i quartieri. Tutte cose che sono in netto contrasto con la funzione che hanno gli alloggi oggi. Da cui possiamo iniziare a creare una visione di lungo termine che si proietti al di là delle campagne individuali e che abbia la capacità di creare quel mondo che immaginiamo durante lunghe riunioni ed iniziative di quartiere. E’ in questi momenti che possiamo cogliere uno scorcio di cosa potremmo costruire semplicemente a partire dal calore e dalla solidarietà tra vicini di casa, e cosa potrebbe succedere se puntiamo ad un crepa nel sistema e decidiamo di prenderlo a picconate.
Note
(1) Graeber, David. Fragments of an Anarchist Anthropology (Chicago: Prickly Paradigm Press, LLC), 5.
(traduzione a cura di FdCA-Ufficio Relazioni Internazionali)