Chi siamo

Le radici. Dalla nascita dell’anarchismo politico al primo dopoguerra
Fin dalle origini (1872) l’anarchismo cremonese ha saputo esprimere, nei pur forzosi limiti di una contenuta rilevanza geopolitica, una ricca e variegata presenza di singole figure, individualità, militanti, compagne e compagni, alcune delle quali di acclarato peso storico nazionale.
Tale presenza, per come si è generalmente espressa e determinata, ha fin da subito assunto la forma di realtà organizzate, sia in ambito politico stretto (gruppi, federazioni, circoli), sia in quello sindacale e dell’Organizzazione di Massa (CdL, CGL, USI), sia, infine, in quello culturale nella sua accezione più ampia (propaganda, pedagogia libertaria, educazionismo).
I moti del ’94 e del ’98 che, idealmente, si ricollegavano a esperienze di lotta e di crescita della coscienza proletaria di assoluto rilievo quali, ad esempio, il grandioso movimento de “La Boje”, particolarmente vivo e sentito in questa parte di Bassa Padana, le lotte agrarie del 1907-1908, la Settimana Rossa e la protesta anti-interventista, furono tutti momenti che registrano l’attiva partecipazione degli anarchici cremonesi.

I Consigli, gli Arditi del Popolo, la dittatura fascista, la Spagna, la Resistenza
L’esperienza dei Consigli e l’imminente scontro con la reazione alla vigilia del “ventennio” tragico, così come la partecipazione ai primi organismi costituitisi allo scopo precipuo di arginare da subito e, in seguito, fronteggiare e sconfiggere lo squadrismo alle porte, vede in prima fila, accanto alle altre forze (non tutte) della sinistra storica, gli anarchici e le rappresentanze locali delle loro organizzazioni (UAI e USI).
L’esperienza degli Arditi del Popolo, con tutto il suo portato di coscientizzazione sul pericolo fascista, immediatamente letto, interpretato e decodificato quale “controrivoluzione preventiva”, è la “forma” organizzata che i compagni, all’epoca, fanno propria, costituendola, laddove assente, o aderendovi, se già attiva. Ciò in più centri del territorio provinciale e in modalità individuale o collettiva (come testificato dall’azione degli ultimi corifei dell’anarco-sindacalismo locale). Tutto questo senza tentennamenti o ambiguità e in ciò precorrendo, per essere chiari, l’orientamento di più d’un indirizzo storiografico moderno (anche straniero), che documenterebbe in modo rigoroso come, se adeguatamente sostenuto, il movimento degli Arditi avrebbe potuto misurarsi, e con ottime speranze di esito positivo, con lo squadrismo fascista, e proprio sul suo terreno privilegiato (e primigenio): la violenza e lo scontro fisico-militare.
Carcere, vittime, aggressioni, violenze, esilio, confino… hanno contrassegnato la vicenda politica e umana dei compagni per tutta la durata della tirannide fascista.
Gli anarchici cremonesi hanno dato il loro contributo alla lotta antifascista clandestina.
Gli anarchici cremonesi hanno dato il loro contributo alla lotta per la libertà della Spagna repubblicana.
Gli anarchici cremonesi hanno dato il loro contributo alla Resistenza e alla Lotta di Liberazione Nazionale dal Nazifascismo.

Il secondo dopoguerra. Un difficile trentennio di pausa e di tenuta ideale
All’indomani della caduta del regime fascista, l’anarchismo cremonese, così come in altre parti d’Italia, necessita di aprire una riflessione, profonda quanto urgente, dispiegantesi su di un duplice binario. Primo: l’analisi di quanto “conseguito” e, soprattutto, di quanto “mancato” (in primis la disattesa delle grandi aspettative aperte dal periodo resistenziale e l’oggettiva impossibilità di sbocchi rivoluzionari immediati); secondo: la messa a fuoco del tema centrale (che assurgerà a vero e proprio “assillo”, per l’anarchismo di casa nostra, nei decenni che seguiranno) costituito dalla ricerca di un assetto organizzativo conveniente e stabile, o perlomeno degno di tale nome, della formula più idonea e capace cioè, in grado di riunire le forze dell’antiautoritarismo nazionale, nelle loro espressioni individuali e collettive, che dittatura, esilio e altre concause (a volte “endogene”) hanno contribuito a fortemente disperdere. È il periodo “caduco” della Federazione Libertaria Lombarda, della Federazione Comunista Libertaria di Cremona e della Federazione Socialista-Libertaria cremonese. È il periodo di una “tenuta” durissima da parte di compagne e compagni (che vivono isolamento e disorientamento mai sperimentati prima) delle “posizioni di fondo”, quantomeno dei “principi”. È il periodo (nel 1948, in particolare) di “abdicazioni”, di “scelte confuse e sofferte”, di “afflussi e confluenze” (nel PCI, soprattutto), complice biunivoco, l’inania e l’ignavia, il nullismo e l’inconsistenza, la precarietà progettuale, organizzativa e teorica che ha contagiato larga parte di Movimento, da un lato, e la subita fascinazione di certi modelli di “unità e saldezza militante” e di “efficientismo organizzativo” da altri ostentato, dall’altro.
Ai pochi “superstiti” l’onere di reggere il testimonio e in taluni casi persino quello di assumere l’ingrato ruolo di “clandestini” o di “tollerati abusivi” in ambiti e forze di segno, modus operandi e finalità, avvertiti come decisamente estranei o comunque lontani dai “fondamentali” del proprio bagaglio di esperienze politiche, e vieppiù angusti sul piano squisitamente ideale nonché marcatamente distorsivi su quello teorico.

Singolarità e peculiarità cremonesi. I tre lustri che precedono l’epoca della Federazione
L’inizio degli anni ’70 segna la rinascita.
E “singolare” è quel che accade e come accade.
Nei tre poli geografici e “cuori pulsanti” del radicalismo politico dell’intera provincia, ossia il Cremasco, posto sulla direttrice per Milano, il capoluogo, nel mezzo, e infine il Casalasco, estremità sudorientale del territorio, nascono improvvisamente, indipendentemente e all’insaputa l’uno dell’altro, pertanto in perfetto regime di concomitanza temporale, totale autonomia e non-conoscenza reciproca, rispettivamente: il Coordinamento Anarchico Cremasco, il Gruppo Comunista-Anarchico di Cremona (con annesso il Circolo Culturale “Ettore Molinari” di Cremona) e il Coordinamento Anarchico Casalasco-Viadanese.
Contemporaneo e pressoché subitaneo il tratto comune e distintivo dei tre gruppi: il rifiuto dell’opinionismo e del mero lavoro di propaganda, a favore del moto proiettivo verso un anarchismo organizzato, sociale e di classe. L’intervento fra i lavoratori e nell’Organizzazione di massa, la spinta verso obiettivi “ampi” quali l’Unità di Classe e il rafforzamento dell’unità, dell’omogeneità e dell’identità politica poggiante su frequentissimi momenti di dibattito, analisi e “cura speciale” per la formazione teorico-strategica, costituiscono l’asse di sviluppo del futuro radicamento.
Nel contempo si coltivano le relazioni esterne e non si trascura di collaborare, pur nella salvaguardia della propria specificità, con le numerose formazioni politiche extraparlamentari di matrice marxista-leninista allora operanti.
La “peculiarità”, invece, risiede, si manifesta e assume la forma, mai più abbandonata da allora, di una tensione irrefrenabile all’organizzare e al coordinare tutti i soggetti afferenti all’area anarchica (organizzata e di tendenza) e di una insopprimibile determinazione nella ricerca dell’unità delle forze che in tale ambito ideologico si stanno muovendo sul territorio.
Di qui il primo raccordo fra le tre sigle citate, la semina e la raccolta dei primi comuni prodotti politici.
Ma ciò non basta.
L’ampiezza e la vastità di progetto e idee impongono l’allargamento dell’ottica. Ci si coordina ora anche con realtà di movimento extraprovinciali (bergamasche, piacentine, mantovane…).
Ma ancora non basta.
La gravitazione verso la metropoli confinante (Milano) sfocia nella regolare partecipazione a riunioni, manifestazioni e incontri sotto l’egida di una sigla nuova e fortemente connotata: Coordinamento Lavoratori Comunisti Anarchici della Bassa Lombardia.
Ma, una volta di più, non basta.
Il confronto serrato e la formazione politica, anche mediante il ricorso a “seminari” a tema, unitamente al radicamento dei rapporti personali e al progressivo accentuarsi di moti umani fatti di grande calore, amicizia, simpatia e affetto con molti compagni di altre (e lontane, ma solo geograficamente) realtà politiche organizzate, come la Federazione Comunista Anarchica, l’Organizzazione Rivoluzionaria Anarchica e la Federazione dei Comunisti Anarchici, conduce a processi di composizione e unificazione che verranno sanciti dalla nascita della Fed. Provinciale cremonese dell’ORA (Organizzazione Rivoluzionaria Anarchica).
Tutto questo, infine, ancora non viene considerato sufficiente.
Dentro, ben dentro tutti i percorsi e i momenti (anche i meno agevoli e felici) della vita dell’Organizzazione e del Movimento Anarchico più in generale (dagli “attivi” per la ricostituzione dell’USI allo “smarrimento” e, a volte, al “ritrovamento” di pezzi d’organizzazione), i militanti della lotta di classe cremonesi, assieme ai loro compagni sparsi per la penisola, congiungendo gli sforzi, hanno diretto lo sguardo verso tutto quello che a livello nazionale si costituiva a presidio dell’anarchismo sociale e classista, ossia a tutto il mondo di militanti, gruppi, organizzazioni, locali e regionali, che componeva, e forse esauriva, la galassia detta del Comunismo Anarchico in Italia.

Breve digressione.
Questo “sguardo” si è concretato nel profondere tali e tante energie e risorse, morali e materiali, politiche e umane, che solo è auspicabile venga bene interpretato e custodito, ora e sempre, quale monito rivolto a tutti i veri partigiani dell’unità fra gli anarchici.
Fine della digressione.

L’individuazione dei “passi comuni” e l’intrapresa di un cammino unitario di dibattito e di intervento politico hanno condotto proprio qui, in questo nostro territorio, attraverso l’ufficialità dei Congressi fondativi (anni 1985-1986) tenutisi in Cremona, alla nascita della Federazione.
Ma questa è un’altra storia, una storia nuova, una storia ad “alta intensità”, politica e morale, una storia densa e certo foriera di grandi sviluppi: la nostra storia, la storia della Federazione dei Comunisti Anarchici.

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