Venezuela al bivio

 categoryvenezuela / colombia | the left | opinion / analysisauthorMonday March 03, 2014 05:21author by José Antonio Gutiérrez D.Segnalare questo messaggio alla redazione

 Articolo originariamente scritto in spagnolo per l’ultimo numero del giornale anarchico cileno Solidaridad-

I fatti recenti che hanno scosso il Venezuela dimostrano non sono il livello di interferenza degli USA nella regione o la pervasiva tendenza a minacciare colpi di stato all’interno della elite venezuelana la quale ben conosce il manuale cileno per una stratega dei colpi di stato. Si evince soprattutto come ci siano tensioni latenti all’interno del modello venezuelano, il quale dovrebbe iniziare a funzionare dal basso, tramite la lotta. Oggi più che mai ai rivoluzionari sono necessari gli strumenti della critica, piuttosto che l’attitudine alla passiva approvazione di qualsiasi cosa decida di fare la dirigenza bolivariana.

 muralchavez.jpgmercante!cid_part5_04040800_07010100@fdcaVenezuela al bivio

 I fatti recenti che hanno scosso il Venezuela dimostrano non sono il livello di interferenza degli USA nella regione o la pervasiva tendenza a minacciare colpi di stato all’interno della elite venezuelana la quale ben conosce il manuale cileno per una stratega dei colpi di stato. Si evince soprattutto come ci siano tensioni latenti all’interno del modello venezuelano, il quale dovrebbe iniziare a funzionare dal basso, tramite la lotta. Oggi più che mai ai rivoluzionari sono necessari gli strumenti della critica, piuttosto che l’attitudine alla passiva approvazione di qualsiasi cosa decida di fare la dirigenza bolivariana.

 

La genesi del bolivarismo

 

Un evento che ha segnato la storia recente del Venezuela è stato il Caracazo, quel gigantesco, spontaneo moto popolare contro le misure di ristrutturazione decretate dal governo social-democratico di Carlos Andrés Pérez nel 1989, che finì con un bagno di sangue per la morte di un numero di venezuelani tra i 500 ed i 2000. E’ sorprendente notare che a tutt’oggi non ci siano cifre certe sul numero dei morti, quasi a dimostrare che fossero dei signor “nessuno”, dei “marginali”, degli “usa e getta”. Dopo essersi fatto una reputazione per il suo tentativo di colpo di stato nel 1992 – in diretta risposta ad un governo ampiamente ritenuto come illegittimo dalle classi popolari – l’ufficiale in pensione  Hugo Chávez Frías si presentò alle elezioni del 1999, un outsider nella cerchia dei potenti, i quali durante il cosiddetto periodo del Punto Fijo, si dividevano le quote di potere tra due partiti. I suoi discorsi populisti e diretti, la sua denuncia di uno status quo esasperato dalla crisi del petrolio che erodeva la corrotta rete del clientelismo, fecero colpo immediatamente sulla maggioranza, esclusa dal sistema politico-economico.

Sebbene le sue prime misure redistributive fossero alquanto timide, Chávez si trovò immediatamente contro l’elite dei potenti perchè per la prima volta nella storia della repubblica costoro erano fuori dai circoli del potere. Questo brusco cambiamento venne ratificato nel 1999 con l’assemblea costituente, dove i vecchi partiti non c’erano più. La nuova Costituzione, a cui si rifà oggi persino la Destra guidata da Capriles, aveva stabilito certe garanzie sociali e certi diritti di cui erano beneficiari settori precedentemente esclusi dall’accesso all’istruzione o alla salute, in controtendenza con il neoliberismo dominante a livello mondiale. Erano previsti principi di forme di partecipazione democratica da sperimentare con l’istituzionalizzazione del Poder Ciudadano. Dal punto di vista delle garanzie, questa Costituzione rimane un caso unico per quanto riguarda il riconoscimento del diritto alla disobbedienza civile nei casi in cui il governo si trovi a violare la Costituzione.

Gli anni seguenti furono anni di cambiamento all’interno della svolta a sinistra portata dal progetto politico chavista; ad ogni tentativo di farlo cadere, le masse alla base del progetto bolivariano rispondevano con richieste sempre più grandi. Tra questi tentativi bisogna citare il colpo di stato dell’aprile 2002 e poi la serrata dei padroni dal dicembre 2002 al febbraio 2003, entrambi nettamente sconfitti dalla mobilitazione popolare e dal sostegno dell’esercito al processo bolivariano. La serrata padronale, incentrata sul blocco della produzione di petrolio, vide i lavoratori autogestire l’industria petrolifera consentendeo all’economia di non arrestarsi. Da questo processo, la classe capitalista dei rentier ne uscì sfinita ed importanti settori di essa vennero spodestati dal potere quando Chávez licenziò 19.000 persone tra tecnici, direttori e quadri. Il progetto bolivariano prendeva così il controllo della produzione del petrolio e dava inizio ad una serie di programmi sociali chiamati “missions”, con cui i diritti sociali appena conquistati venivano estesi alle aree più emarginate del paese. Ma anche in questo processo, l’esperienza dell’autogestione non proseguì e sebbene sotto nuove forme si fece ritorno alle stesse dinamiche lavorative precedenti.

Ma fu solo dopo la  vittoria al referendum di conferma del 2004 e dopo la sua schiacchiante vittoria nelle elezioni presidenziali del dicembre 2006 che Chavez osò pubblicamente parlare del suo progetto in termini di “Socialismo del 21° secolo”.

 

Socialismo del 21° Secolo

 

Chávez così intendeva i 5 motori della costruzione del socialismo: nazionalizzazione delle telecomunicazioni e dell’elettricità; controllo del 60% delle operazioni petrolifere sui mercati multinazionali della Petróleos de Venezuela S.A. (PDVSA, compagnia di stato del petrolio e del gas); riforma costituzionale per fare del Venezuela una Repubblica Bolivariana Socialista; formazione politica e lotta idelogica al predominante pregiudizio capitalista; un nuovo sistema di amministrazione territoriale del paese in linea con i bisogni del popolo; e lo sviluppo di organismi di potere nel territorio. Era inteso che queste misure dovessero portare dallo sviluppismo al poder popular.

Inizialmente le prime misure per lanciare il potere popolare, come i comitati cittadini e della terra, giunsero invariabilmente dall’alto, mentre proseguiva l’enfasi sulla redistribuzione attraverso le missions, che erano abilmente create by-passando le strutture della burocrazia amministrativa dello Stato, con un mix di mobilitazione sociale e di partecipazione dell’esercito. Questi organismi portarono forse ai più spettacolari passi avanti del progetto bolivariano, come ad esempio la eliminazione effettiva  dell’analfabetismo.

Altre iniziative ebbero risultati più alterni a causa delle distorsioni provocate dall’economia di rendita del petrolio e dal Male Olandese (relazione tra sfruttamento delle risorse naturali e declino del settore manifatturiero, ndt) , insieme con la persistenza di un abnorme Stato clientelare. La riforma agricola ne è un buon esempio. Il Venezuela importa il 70% del suo fabbisogno di cibo, il 12% della sua popolazione è rurale ed il 5% dei latifondisti nel 1997 controllava l’80% delle terre. Fin dal 2005, diversi contadini hanno avuto dei terreni ed è stata incentivata  la migrazione dalle aree urbane verso la campagna; tuttavia, non fu facile raggiungere l’obiettivo della sovranità alimentare poichè le distorsioni provocate dall’economia del petrolio rende la produzione di cibo più dispendiosa di quella dei paesi confinanti col Venezuela. Paradossalmente, Mercal, i magazzini sussidiati, vendono la maggior parte del cibo importato grazie ai prezzi molto bassi. E alla lenta espansione della produzione del cibo (più bassa della domanda), si deve aggiungere il problema del sabotaggio e dello stoccaggio.

Lo stesso controllo operaio risulta contraddittorio. I primi espropri fatti da Chávez risalgono al 2005 quando alcune compagnie passarono sotto il controllo dei lavoratori, da soli o insieme allo Stato. Ma i lavoratori più radicalizzati che chiedevano di abbandonare i vecchi modelli gestionali, di tener conto non solo del profitto ma anche dei bisogni e della sostenibilità quali criteri di produzione, di mettere fine alla divisione tra lavoro manuale ed intellettuale, si ritrovarono quale peggior nemico proprio  lo stesso Ministro del Lavoro, mentre Chávez prendeva le distanze dai più radicali fino a quando nel 2009 il suo interesse verso di loro ritrovò slancio per la campagna contro la “corruzione”. Molte compagnie erano state lasciate da sole in quella sorta di truffa che fu il “socialismo in una sola fabbrica”, mentre settori della sinistra denunciavano questo avventurismo, optando per modelli puramente statalisti. Ma oltre le industrie esistenti, il sogno della diversificazione economica rimase elusivo: l’economia continuava ad essere dominata dai profitti del petrolio e la creazione di iniziative come le cooperative finivano in un circolo vizioso – il tasso di scambio distorto dall’economia parassitaria non aiutava la competitività sul mercato in base alle leggi capitaliste in forza in Venezuela e nella regione, mentre i sussidi ed il sostegno a queste iniziative di diversificazione dipendevano dai profitti petroliferi, che finivano col rafforzare la debolezza strutturale dell’economia di produzione.

 

Uno Stato della comunità?

 

Un importante aspetto di come il progetto bolivariano intendeva il potere popolare è lo sviluppo dei consigli di quartiere, che dovevano essere le basi di quella che Chavez chiamava la transizione dallo Stato Borghese allo Stato della Comunità. Ispirati dalla esperienza partecipativa di Porto Alegre, questi consigli sono strumenti della comunità per lo sviluppo e l’implementazione di progetti della comunità.  Ma dovettero fare i conti con l’opposizione locale dei caciques (boss politici), delle agenzie statali e persino del sistema bancario che si pensava dovesse finanziare questi progetti. Le strutture clientelari della politica tradizionale e della burocrazia erano diffidenti verso queste esperienze di comunità che erano diventate troppo indipendenti.

Nonostante la riduzione della povertà e l’avvenuto sradicamento dell’analfabetismo e della malnutrizione, la questione del potere continua ad essere l’aspetto dirimente da cui dipende non solo il futuro del “processo” ma anche il mantenimento di ciò che è stato raggiunto in questo decennio di sperimentazione sociale. Nonostante l’interazione di iniziative dal basso con quelle dall’alto, le contraddizioni tra lo Stato e le comunità restano come elemento chiave delle dinamiche politiche del processo. In particolare perchè lo Stato, a partire dalla rimozione dal potere dei vecchi Punto-Fijistas, è diventato la nicchia della tradizionale classe al governo, mentre coloro che sono i nuovi arrivati nei circuiti statali hanno rapidamente acquisito quelle pratiche clientelari corrotte e gerarchiche che esistono da decenni. Da questa nicchia costoro boicottano il cambiamento e diventano ricchi, continuando a indossare le loro magliette rosse.  Per la maggior parte delle volte, il Chavismo ha garantito privilegi per i burocrati obbedienti, per quanto corrotti, ed ha chiuso un occhio sulle tangenti che prendevano. Tutte cose che rafforzano la Destra, anche se dovesse significare mettere a tacere quei settori popolari che ne fanno denuncia. La peggior cosa di una cricca è non farne parte. Così recita un noto detto in Colombia e Venezuela.

 

L’assenza di una dirigenza collettiva, il caudillismo ed il verticismo, rappresentati nella logica dello Stato, sono stati i principali nemici di questo processo di cambiamento sociale. Tutto questo è diventato evidente alla morte del  “comandante” nel marzo 2013.

 

E ora: andare avanti o mettere fine al “processo”?

 

Dopo le elezioni locali di dicembre, che la Destra parassitaria ha usato come una sorta di referendum e da cui i Chavisti ne sono usciti a pieni voti, la recentissima svalutazione ha dato un’opportunità a quei settori per ritornare nelle strade dopo un decennio in cui non si erano visti. Quelli che hanno approfittato della fuga di capitali attraverso la trasformazione dei milionari profitti petroliferi in depositi privati all’estero grazie alla Commissione per l’Amministrazione del cambio di valuta(CADIVI) hanno suonato la carica con l’annuncio che questo sistema deve essere sostituito con uno nuovo (Centro Nazionale per il Commercio Estero – CENCOEX), hanno urlato conro l’inflazione e contro il deficit che essi stessi hanno in gran parte provocato. Non ci dimentichiamo che in questa guerra economica più di 50mila tonnellate di cibo base stoccato era stato requisito fin dai primi del 2013, mentre affaristi di ogni risma hanno speculato sui mercati internazionali, come nel caso degli elettrodomestici, con tassi di profitto del  1,000%.

Il problema non è che stanno rialzando la testa – quanto che i i loro privilegi non sono stati toccati e dalle loro roccaforti hanno ancora risorse ed organizzazione per difendere i loro privilegi assoluti. Il problema è che i settori popolari che vogliono aumentare il loro potere, il loro controllo e la loro autonomia, vengono contenuti, persino repressi, mentre i soliti sospetti vedono i loro privilegi minacciati ma non toccati, in una situazione da cui si dovrà comunque uscire. Il problema è che il controllo della banca sul commercio estero è rimasto nelle mani del capitale finanziario, che non c’è nessun controllo popolare sul commercio, neppure sanzioni per il cartello che minaccia la gente con la fame. Il problema come dice Roland Denis, è questo:

 

un modello di capitalismo di stato parassitario e di rendita, che sotto le sue politiche di controllo, di concentrazione del potere e di sostituzione del controllo sociale con tecnocrati o con funzionari burocrati, non solo ha reso più ricchi i ricchi, in barba alla carità ed alle politiche di giustizia sociale, ma ha distrutto le forze produttive, i creatori di una società di lavoratori e di una società di piccoli produttori privati in cooperativa (…) Un modello che porta le classi medie produttive alla scomparsa, che fa impazzire una crescente domanda di consumi, che rende del tutto evidente l’incapacità di una risposta tramite un’economia di Stato (che importino o producano, le imprese di Stato sono in fallimento a causa della loro inutile mentalità che conduce alla distruzione della produttività sociale). Un modello che sta riattivando la curva di impoverimento attraverso l’inflazione e la disoccupazione crescente, a causa dell’economia improduttiva, facendo diminuire così il valore del lavoro giorno dopo gorno, incurante dei salari nominali“[1].

 

Ci sono solo due modi per affrontare l’attuale situazione: una è la repressione di coloro che si sono mobilitati mentre chiamavano al dialogo gli organizzatori della protesta. Questa è la strada che Maduro ha scelto tempo fa. L’altra è scatenare la forza del popolo e spingere le trasformazioni sociali verso una prospettiva socialista e libertaria per eliminare l’elite parassitaria che sta facendo sanguinare il paese e che non sarà felice finchè non vede svanire definitivamente quella minaccia più immaginaria che reale che punta all’abolizione del loro privilegio.

A parte le misure immediate (quali l’armonizzazione del prezzo del petrolio, il contenimento della fuga di capitali, della speculazione e dei cartelli), è essenziale capire la reale natura delle contraddizioni sociali di fronte al “processo”.  Non è sufficiente riconoscere che nulla è perfetto e che sia naturale che ci siano delle contraddizioni. Questa contraddizioni devono essere identificate, discusse, criticate e corrette. Non possiamo solo circoscriverle, giustificarle ed ancor meno trarne virtù e intanto chiudere gli occhi di fronte alla impeccabile “leadership” dei dirigenti.

Oggi il popolo non può essere un agente passivo e nemmeno truppe d’assalto del governo: le persone devono riprendere la loro capacità di azione politica, agire per se stessi, con il loro proprio programma, perchè il socialismo non sarà costruito dallo Stato. Decentramento, sviluppo autonomo degli organi del potere popolare e controllo sociale sono i compiti essenziali nel momento attuale. Ci deve essere un trasferimento di potere dall’apparato dello Stato ai movimenti popolari ed alle loro organizzazioni. Il vecchio potere di classe sopravvive all’interno dello Stato ed i nuovi burocrati stanno acquisendo le stesse pessime abitudini. Non è da loro che nascerà la società ugualitaria, dal momento che lo Stato per definizione riproduce attivamente disuguaglianze ed asimettrie nel potere. Come ha scritto il giornalista Iain Bruce, analizzando il processo Bolivariano: “e come la metti con l’apparato esistente, quando tu per primo sei giunto al potere grazie ad esso (…)? (…) sta diventando sempre più chiaro che un certo numero di quelli che si sono piazzati nel vecchio edificio (…) si rtrovano molto bene nelle loro nuove sedi e si sentono tranquillamente inclini a contrastare chiunque voglia buttare giù il vecchio edificio per sostituirlo con un tipo di costruzione completamente diversa“[2].

Oggi, la discussione non si può ridurre a come colpire le tendenze golpiste. C’è bisogno anche di colpire l’inerzia, il burocraticismo ed il culto dello Stato, che si rafforzano reciprocamente. Dobbiamo lottare per una alternativa socialista e libertaria, perchè le mezze vittorie non sono niente altro che totali sconfitte.

 

José Antonio Gutiérrez D.
26 Febbraio 2014

 



Tranduzione a cura di FdCA Ufficio Relazioni Internazionali

 


 

Note:

 

[1] “Desactivar el Fascismo”, 22 February 2014
[2] Iain Bruce, “The Real Venezuela”, 2008, p. 184

 

 


 

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