L’1 novembre la Turchia torna al voto per la seconda volta in pochi mesi.
Con queste elezioni l’AKP, il partito del presidente Erdogan, vuole riconquistare quella maggioranza assoluta persa nelle elezioni precedenti, a causa del successo dell’HDP, il partito curdo che aveva superato lo sbarramento del 10%.
La campagna elettorale si è svolta in un clima di terrore.
Dopo gli attacchi omicidi ad Amed (Diyarbakir) e Suruç nei mesi di giugno e luglio, dopo i massacri compiuti dall’esercito turco nelle zone curde come a Cizre, il 10 ottobre un triplo attentato ha colpito al cuore la manifestazione del “blocco della Pace” ad Ankara, provocando più di 125 morti e centinaia di feriti.
Un attentato terroristico contro il movimento dei lavoratori.
Infatti la manifestazione contro gli interventi militari nei territori curdi era stata indetta da due confederazioni sindacali nazionali e da due sindacati dei medici e degli ingegneri/architetti, storicamente vicini all’ala più progressista del movimento sindacale.
Le organizzazioni curde avevano aderito in massa, insieme ad organizzazioni politiche progressiste e rivoluzionarie turche, insieme alla minoranza religiosa alevita.
Questa mobilitazione unitaria per la pace a pochi giorni dalle elezioni era il segno evidente del processo di convergenza di forze di opposizione alla politica repressiva ed omicida dell’AKP.
Di fronte a questa minaccia, dopo la sconfitta elettorale e la perdita di consenso e di voti dell’AKP -dovuta alla repressione contro il movimento di Gezi Park nel 2013, contro la mobilitazione curda per Kobane nel 2014 e contro lo sciopero dei metalmeccanici nel 2015- lo Stato turco ha scelto ancora una volta la carta del terrorismo contro la classe lavoratrice, come spesso ha fatto nella storia del paese.
L’ISIS, a cui si vorrebbe dare la colpa dell’attentato di Ankara come di quello di Suruç, insieme ai Corpi Ottomani (responsabili di 104 attacchi contro sedi curde l’8 settembre scorso), insieme alle milizie sunnite sostenitrici di Erdogan (l’IBDA-C e i Kurds Hezbullah), ai Lupi Grigi, a mafiosi come Sedat Peker (che giusto il 9 ottobre aveva minacciato i Curdi di far scorrere il loro sangue come un fiume), alle Brigate Turcomanne (nemiche dei Curdi a Kobane), sono tutte forze sostenitrici e sostenute dall’AKP nel tentativo di seminare il terrore in Turchia, nel Kurdistan ed in Medio Oriente per inseguire il fosco sogno restauratore della supremazia sunnita nel mondo musulmano insieme ad Arabia Saudita e Qatar.
Un sogno che ha portato Erdogan a puntare sulla distruzione della Siria.
Un sogno che appare ora definitivamente infranto dal recente intervento militare russo.
Un sogno già compromesso dalla vittoriosa resistenza di Kobane e dei Curdi della Rojava all’assedio dell’ISIS e dell’esercito turco.
Il grave pericolo per la classe lavoratrice turca e curda è che l’AKP voglia portare in Turchia quel terrore che ha devastato la Siria, a costo di mettere tutto il paese a ferro e fuoco.
Ci sono tre forze che, unite, potrebbero impedire a Erdogan di realizzare il suo programma liberticida e sterminatore: il movimento popolare di Gezi Park insorto nel 2013 per protestare contro le politiche di devastazione del territorio delle grandi imprese e contro la mancanza di libertà politica ed individuale, il movimento popolare curdo insorto a difesa di Kobane nel 2014, il movimento operaio che nel maggio 2015 ha portato decine di migliaia di metalmeccanici in piazza da Bursa ad altri centri industriali del paese.
La convergenza di queste tre forze potrebbe sconfiggere i piani assolutistici di Erdogan ed aprire in Turchia una fase di conquista di diritti e di libertà finora negati.
Contro il fascismo ed il terrorismo di Stato, solidarietà internazionale con i sindacati, con i lavoratori turchi e curdi uniti, con le forze progressiste e rivoluzionarie.
Alternativa Libertaria/FdCA, Federazione Cremonese.