Il consiglio regionale lombardo ha licenziato la riforma sanitaria pensata da Letizia Moratti e che andrà ad aggiornare la legge Maroni del 2015 con uno stanziamento di 2,7 miliardi di euro, compresi i fondi per l’edilizia sanitaria e una quota del PNRR.
Il testo è stato approvato con i soli voti favorevoli del centrodestra, sufficienti comunque a farla passare in pompa magna.
Già ad una prima lettura non si fatica a verificare che, nella realtà dei fatti, questa è in tutto e per tutto una non riforma, dato che conferma ed incentiva una politica già in atto da anni, con Maroni e prima ancora con Formigoni.
Le parole con cui l’assessore al welfare Moratti ed il presidente della regione Fontana accolgono la non riforma confermano, semmai ve ne fosse bisogno, una visione della sanità liberista, completamente asservita ai desiderata degli imprenditori del settore e pregna del concetto che le cure siano soprattutto un business entro il quale possono sguazzare pubblico e soprattutto privato. A prima vista la legge parrebbe voler potenziare i presidi territoriali, con la creazione delle case e degli ospedali di comunità, che però potranno essere gestiti anche dai privati, consegnando di fatto la fetta più redditizia della medicina di prossimità all’iniziativa imprenditoriale che ha come unico scopo mettere a profitto le malattie e le cure, ignorando completamente la prevenzione, che nel caso di strutture quali i consultori dovrebbero invece avere un ruolo preminente.
Viene indicata a chiare lettere l’equivalenza tra pubblico e privato, in nome di una libertà di scelta che nei fatti diventa mero privilegio di classe: a fronte di una sanità privata che investe su cure e tecnologie avanguardistiche delle quali pochi potranno beneficiare, troviamo una sanità pubblica incerottata, nella quale per prenotare un esame o una visita
bisogna attendere mesi e mesi, costringendo così chi ha reale urgenza a rivolgersi alla libera professione per accorciare i tempi; una vera e propria speculazione sulla pelle dei malati.
Si prospettano corsie preferenziali anche per chi gode della stipula di assicurazioni private, ivi comprese quelle contenute nelle voci di welfare aziendale dei vari CCNL di categoria, andando così a dare ragione a coloro i quali hanno scandito a gran voce fin da subito che il welfare aziendale sarebbe stato un grimaldello importante per scardinare la sanità pubblica
e allo stesso tempo una forma di ricatto verso il lavoratore che potrebbe perdere stimoli alla lotta per il miglioramento delle proprie condizioni di lavoro per paura di perdere gli incentivi del welfare insieme all’impiego.
La regione infine si doterà di un piano pandemico entro i 5 anni; il fatto di non averlo ancora fatto nonostante sia stata la regione più colpita dalla pandemia e una delle aree a più alto tasso di mortalità al mondo dimostra l’inadeguatezza pressochè totale dell’assessore Moratti e dei suoi consiglieri, che ancora una volta preferiscono una gestione emergenziale affidata a santoni come Bertolaso (che in una sua recente uscita pubblica ha proposto di trasformare l’hub vaccinale fieristico in un luna park per incentivare i bambini ad andare, come se la decisione di vaccinarsi spettasse a un minore di 12 anni) invece che scelte oculate basate sulla prevenzione, sul tracciamento istantaneo e sulla tempestività delle prime cure.
Una non riforma che ha un peso specifico enorme, considerata la contingenza pandemica ed il continuo riempirsi la bocca con la necessità di contrastare efficacemente il Covid-19 attraverso il potenziamento della rete socio sanitaria, salvo poi seguire pedissequamente le direttive liberiste che vedono la malattia come un business e il malato come un cliente e
che vengono tradotte in politiche che hanno più di una responsabilità nella costruzione del clima di sfiducia nei confronti della scienza medica.
Se vogliamo appropriarci della salute, non dobbiamo accettare lo status quo come un dato naturale e irreversibile, ma invece come un risultato socialmente e storicamente determinato, su cui abbiamo il dovere di intervenire mettendo insieme un’organizzazione di donne e uomini consapevoli che il diritto alla salute non è un diritto “naturale”, ma una conquista che deriva dalla rivoluzione sociale.