Renzi è caduto. Le sue politiche no.
In Italia il 2016 si è concluso con la caduta del governo Renzi provocata da un responso referendario negativo sulla riforma della Costituzione proposta al vaglio popolare.
Se l’esito è del tutto apprezzabile, dato che è stato fermato uno dei progetti autoritari capisaldo della politica renziana e del grande capitale, gli eventi successivi (approvazione della Legge di Stabilità e nuovo governo di continuità delle politiche precedenti a fronte di nessun movimento che si alimentasse della vittoria del NO depurandolo dei tanti elementi ambigui e persino fascisti che l’ hanno contrassegnata) hanno confermato che la sconfitta di Renzi si sta trasformando in una rivincita istituzionale.
Infatti nessun segnale si avverte da parte del governo Gentiloni né sulle politiche economiche, né sul ravvedimento necessario per modificare in profondità sia il Jobs Act che la Legge 104 sulla scuola, cioè gli altri due capisaldi autoritari del precedente governo. Mentre non mancano le avvisaglie di una stretta securitaria con la proposta di istituzione dei CIE regionali e l’inasprimento delle espulsioni massa.
La “Buona Scuola” ed il Jobs Act: non bastano i referendum
Incassato il mancato raggiungimento delle firme necessarie a portare a referendum abrogativo la legge sulla scuola (un dato che contrasta molto con la valanga dei NO del 4 dicembre), il governo si concede ora ad una contrattazione mitigatrice sulla mobilità degli insegnanti; ma incombono i decreti delegati su materie come organizzazione del lavoro, retribuzioni, carriere che, sottratte alla contrattazione, non promettono nulla di favorevole per lavoratori e lavoratrici della scuola.
I quali e le quali avranno davanti a sé il duro compito di ricostruire la loro capacità di opposizione e di organizzazione dal basso, dentro e fuori i sindacati, se si vorrà evitare che il lavoro nella scuola della repubblica diventi uno strumento di controllo e di comando dello Stato.
Se questo movimento si svilupperà, con l’appoggio auspicabile anche degli studenti, avrà caratteristiche sociali e politiche che gli permetteranno di articolare il NO del 4 dicembre in un dissenso che trova il suo significato in una visione diversa della scuola e del lavoro nella scuola.
Sul Jobs Act, in attesa del pronunciamento della Corte, è iniziata da guerriglia mediatica e legale del governo che teme un altro voto ostile se si terranno i referendum abrogativi proposti dalla CGIL con oltre 3 milioni di firme raccolte.
Anche in questo caso, non è consigliabile attendere l’indizione della data del voto, bensì ricostruire un movimento di sostegno ai quesiti referendari che riesca da un lato a portare il movimento dei lavoratori ed il movimento sindacale fuori dalle secche in cui è costretto dalla nuova contrattazione imposta da associazioni padronali e Stato, dall’altro a ritessere nei territori il consenso necessario a vincere 2 volte: nel raggiungimento dei quorum prima e nella vittoria dei Sì poi.
Sarebbe un altro segnale che nel NO del 4 dicembre c’erano davvero pezzi di classe lavoratrice e tanto disagio popolare, uniti da una coscienza di lotta e di resistenza, che niente hanno a che fare con la tanta destra e padronato che -ieri ostile a Renzi- non lo sarà affatto domani nei confronti del Jobs Act.
I numeri contro la realtà delle cose
Secondo l’ultimo rapporto dell’ISTAT, il Pil crescerà nel 2017 dello 0,8%: la “crescita” sarà trainata più dalla domanda interna (+1,2%) che dalle esportazioni. Il numero dei posti di lavoro dovrebbe crescere dello 0,6% mentre la disoccupazione dovrebbe calare allo 11,3%. L’inflazione dovrebbe assestarsi allo 0,6%. Meri numeri per nascondere una realtà occupazionale ed economica sempre più grave per milioni di occupati e disoccupati come confermato dalla tante vertenze in corso contro chiusure di aziende e licenziamenti. L’aumento del prezzo del petrolio e l’inefficacia delle politiche monetarie della BCE potrebbero peggiorare ulteriormente il quadro in un contesto internazionale estremamente deteriorato dai mutamenti in atto a livello economico, militare e geo-strategico.
Strettamente correlati ai dati economici vi sono altri due fattori, abilmente usati e strumentalizzati per incutere timore e depotenziare o deviare eventuali movimenti di opposizione sociale: si tratta dell’immigrazione e del terrorismo.
Anche in questo caso occorre un’azione incessante di solidarietà e di organizzazione dal basso, associativo e sindacale, per sottrarre i lavoratori immigrati alla cultura del sospetto e del razzismo che si sta facendo sempre più strada, aumentando le condizioni di sfruttamento e di ricattabilità nei settori in cui è massimamente concentrata la forza lavoro immigrata, così come nei famigerati CIE, dove rischiano anche la morte.
Fare politica libertaria, oltre i referendum e fuori dalle urne elettorali
Tra un referendum e l’altro e l’attesa delle prossime elezioni politiche, vi sono alcune cose da fare a cui i/le militanti anarchic* e gli/le attivist* libertari* non possono sottrarsi:
- impegnarsi nella vertenzialità nei luoghi di lavoro e nella ricostruzione della capacità di coalizione dei lavoratori nelle singole aziende e nel territori per poter gradualmente ridare forza globale all’organizzazione di massa dei lavoratori;
- la crisi dei sindacati, tradizionali e/o alternativi, richiede comunque la nostra presenza ed il nostro presidio come iscritti, come delegati e come dirigenti eletti, per ri-costruire capacità di lotta e di rappresentanza dal basso nei posti di lavoro, nella pratica di vertenzialità;
- ri-costruire nei territori tessuto sindacale e capacità di solidarietà sindacale a partire dalle esperienze conflittuali più avanzate di collettivi, centri sociali, coordinamenti;
- sostenere la capacità di costruire lavoro tramite la sperimentazione di cooperative autogestite all’interno di un progetto sociale alternativo.
Le possibilità ed i soggetti di resilienza si esprimono oggi soprattutto nelle lotte nel territorio, dal diritto alla casa al diritto alla salute e ad un ambiente sano, dall’opposizione alle grandi opere inutili alle mobilitazioni contro i progetti di sfruttamento scellerato di terre, acque e mari, dall’opposizione alla aziendalizzazione dell’istruzione alle mobilitazioni contro il razzismo; dall’accoglienza dei profughi alla sperimentazione di forme di produzione e distribuzione autogestite.
In questi mesi, in queste lotte, in queste realtà il ruolo degli anarchici e dei libertari è quello di aprire i recinti, di sconfinare, di costruire ponti o trovare guadi, di collegare le realtà conflittuali, le soggettività sociali nella costruzione del potere popolare autogestionario, radicato negli interessi immediati e storici degli sfruttati.
E’ sempre più urgente recuperare capacità di coalizione e di lotta alla base nei luoghi di lavoro e nel territorio, ri-costruire strumenti e metodi di ampia partecipazione dal basso, forme di solidarietà autogestite, forme di vertenzialità conflittuali che facciano crescere coscienza e progettualità.
Per l’alternativa libertaria.
96° Consiglio dei Delegati
Alternativa Libertaria/FdCA
Fano, 7 gennaio 2017