Referendum costituzionale e lotta di classe

Nel giro di circa 20 anni, siamo al quarto tentativo di modificare la Carta costituzionale.

Si cominciò nel 1997 con la Bicamerale di D’Alema, poi il referendum dell’ottobre 2001 sul Titolo V della Costituzione, poi quello del 25-26 giugno 2006 sull’intero ordinamento della Repubblica, ora quello previsto il 4 dicembre 2016 sulla Legge Boschi approvata dal Parlamento lo scorso aprile.

Ciò che era scaturito dalla lotta partigiana e antifascista per la libertà e l’uguaglianza, benché poi sancito in una Carta di equilibrio (o mediazione) tra i rapporti di forza in campo nel 1946-47, continua ad essere oggetto di picconate.

Ma la posta in gioco per i lavoratori e gli sfruttati oggi non è tanto la difesa della Costituzione in sé, quanto il contrastare la strategia che sta alle spalle delle leggi di modifica e le conseguenze che
potrà avere.

Una strategia che

• è funzionale al maggior profitto del capitale;
• rafforza il controllo sociale;
• concentra il potere politico in un solo partito;
• alimenta le disuguaglianze e riduce la libertà.

Quanto raggiunto dal Governo Renzi sulle modifiche alla Costituzione, dunque, è l’esito finale di un percorso che ha tentato ed ha messo mano più volte alla Carta Costituzionale, sempre accompagnato da modifiche sostanziali del sistema di voto, con lo scopo evidente di ridurre o abolire la rappresentanza politica istituzionale di interi ceti sociali e di parte importante della popolazione.

Anche in questo caso, il cosiddetto Italicum è strettamente legato alla Legge Boschi ed all’esito del referendum.

Il sistema di rappresentanza che esso prefigura riflette nei suoi aspetti essenziali logiche di dominio che nulla hanno a che vedere con forme di democrazia, anche delegate.

Il potere finanziario detta le regole del gioco, ed anche in Italia il governo non esita ad applicare i dettami dell’oligarchia finanziaria, che non ha bisogno di nessun passaggio democratico per esplicitare il proprio ruolo di potere reale.

Come vuole il capitalismo

E’ il caso di ricordare come si espresse l’agenzia finanziaria JP Morgan il 28 maggio 2013 in un comunicato inviato ai governi europei:

“I sistemi politici della periferia meridionale sono stati instaurati in seguito alla caduta di dittature, e sono rimasti segnati da quell’esperienza. Le costituzioni mostrano una forte influenza delle idee socialiste, e in ciò riflettono la grande forza politica raggiunta dai partiti di sinistra dopo la sconfitta del fascismo.

I sistemi politici e costituzionali del sud presentano tipicamente le seguenti caratteristiche: esecutivi deboli nei confronti dei parlamenti; governi centrali deboli nei confronti delle regioni; tutele costituzionali dei diritti dei lavoratori; tecniche di costruzione del consenso fondate sul clientelismo; e la licenza di protestare se vengono proposte sgradite modifiche dello status quo.”

Evidentemente, il processo di trasformazione autoritaria delle istituzioni repubblicane in Italia corrisponde a certe precise esigenze del capitale finanziario internazionale (ed italiano): incrementare lo sfruttamento della classe lavoratrice su cui scaricare tutte le conseguenze delle crisi economiche; eliminare ogni impedimento al massimo profitto; favorire le privatizzazioni e speculare sul colossale debito pubblico italiano.
Culla della Repubblica autoritaria
L’obiettivo della Legge Boschi e del voto SI al referendun è, perciò, un governo stabile e con forti poteri concentrati nelle mani del Presidente del Consiglio.
Un governo capace di imporre – senza mediazioni parlamentari – le politiche necessarie a controllare i lavoratori e le masse popolari, di approvare rapidamente le leggi necessarie a soddisfare gli interessi del capitale italiano ed internazionale.
In tal modo il governo Renzi e le forze economiche e politiche nazionali e internazionali che lo supportano, punta a spostare defintivamente i rapporti di classe a favore del grande capitale, a liquidare i diritti democratici e smantellare le istituzioni sorte dalla lotta antifascista per immobilizzare e disorganizzare il movimento dei lavoratori e le loro organizzazioni sindacali; attribuendo rango costituzionale al potere che di fatto oggi l’esecutivo già esercita.
Dopo il cambiamento della seconda parte della Costituzione, vi sarà l’attacco inevitabile alla prima parte, che già procede sul terreno politico concreto, come nel caso del Jobs Act.
Le modifiche al Titolo V riporterebbero al governo il potere su materie precedentemente attribuite alle Regioni, ovvero concorrenti, come su energia e infrastrutture.
Con lo scopo principale di riconfigurare gli assetti istituzionali per favorire la maggiore discrezionalità decisionale possibile dell’esecutivo all’interno dell’unica Camera prevista, sottraendo così potere ed autonomia alle amministrazioni decentrate su materie decisive quali il controllo e la privatizzazione del territorio (sanità, grandi opere, accordi ed arbitrati internazionali, corridoi energetici…).
La posta in gioco
La mancanza di dibattito sui temi costituzionali, surrogata da battute da bar, con slogan semplici quanto ingannevoli, propagati a più mani dai membri del governo ( ed anche da certe opposizioni), dimostra che la posta in gioco è alta.

Il sistema informativo in Italia assomiglia sempre più a quello di un paese dittatoriale (77° posto nel mondo sulla libertà di informazione) e questo deve spingere a mettere al centro della discussione questo grande spartiacque politico, che segnerà profondamente gli equilibri politici in Europa.

Le modifiche alla Costituzione hanno alla propria base la volontà esplicita di adeguare il sistema politico e la sua rappresentanza alla legge di mercato, per questo serve meno democrazia, meno partecipazione dei cittadini.

La violenza del mercato non vuole corpi intermedi e di mediazione sociale per poter espandere la propria sfera d’influenza su quel che ancora ci ostiniamo a chiamare società.

Nei “trattati economici di libero scambio” che cercano di avvenire segretamente e senza coinvolgere minimamente le popolazioni interessate, si sta decidendo di privatizzare ulteriormente la vita dei cittadini: salute, ospedali, pensione, servizi, devono essere messi sul “mercato”.

Questa è una delle ragioni fondamentali per cui in questa riorganizzazione globale si prevede un esecutivo forte, senza il coinvolgimento dei cittadini, in modo particolare di tutti noi che ne faremo la spesa amaramente in termini di qualità della vita.

Per contrastare questo disegno eversivo votare NO è utile ma non sufficiente:
occorre difendere i territori in cui viviamo dalle privatizzazioni e dal centralismo statale rafforzare i movimenti contro le grandi opere e andare oltre la dfesa della Costituzione per costruire l’autogoverno libertario del territorio

Alternativa Libertaria/fdca

95° Consiglio dei Delegati Fano, 1 ottobre 2016 www.fdca.it

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